Made in Zaatari, il centro di autoimprenditoria femminile nel campo profughi siriani in Giordania
Un laboratorio di produzione del sapone, una cucina di piatti tipici siriani, un beauty saloon, un atelier di pittura e di creazione di gioielli e accessori: è il bazaar al femminile nato dentro Zaatari, il campo di profughi siriani più grande al mondo, per dare alle donne nuove possibilità di guadagno. Aperto l’8 marzo dell’anno scorso, oggi il centro impiega 16 donne scappate dalla guerra in Siria
ROMA - Un laboratorio di produzione del sapone, una cucina che propone piatti tipici siriani, un beauty saloon, un atelier di pittura e di creazione di gioielli e accessori. Oggi compie un anno il bazaar “Made in Zaatari”, lo spazio di autoimprenditoria femminile nato all’interno di Zaatari, in Giordania, il campo di profughi siriani più grande del mondo. Sono 16 le donne che qui si sperimentano in piccole attività imprenditoriali: c’è chi produce saponette, chi fa la parrucchiera, chi l’estetista, chi cucina, chi dipinge, chi crea braccialetti, collane, orecchini, da vendere agli altri abitanti del campo.
“Il nostro obiettivo è di dare a queste donne uno spazio sicuro per esprimere le proprie capacità e, attraverso il loro lavoro, percepire un piccolo reddito – spiega Maram Alathamneh del team dell’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, che gestisce il campo in collaborazione con il governo giordano –. Noi abbiamo messo a disposizione la struttura e i materiali iniziali, per il resto sono le donne a mantenere l’attività tra spese e ricavi”.
Entrando all’interno del bazaar, la prima cosa che si nota è una grande scritta sul pavimento che dice “Made in Zaatari – 8 marzo 2019”, la data dell’apertura del centro. Si entra così in uno spiazzo all’aperto, circondato da piccoli prefabbricati bianchi, ognuno adibito con gli strumenti e gli utensili necessari per ciascun laboratorio. In mezzo c’è una fontana decorata e alcune sedie, dove in estate le donne si riposano e chiacchierano nelle ore del tramonto. Una di loro è Iptism, che lavora nel laboratorio di produzione del sapone: ha quattro figli ed è arrivata in Giordania nel 2012 scappando da Daraa, la città che è stata culla della rivoluzione siriana.
Nel 2011, all’inizio della crisi siriana, in Giordania non esistevano campi profughi perché erano ancora pochi quelli che scappavano. Tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013 il flusso si è intensificato, con una media di 5 mila siriani che entravano ogni giorno per chiedere asilo. Così, nel deserto nel nord del Paese, a pochi chilometri dal confine con la Siria, sono stati costruiti quattro campi profughi gestiti dall’Unhcr: Zaatari, il più grande, poi Azraq, Zarqa e Rubkan. Inizialmente la vita del campo ruotava attorno a una grande mensa comune e ai bagni pubblici, mentre oggi a ogni famiglia è stato assegnato un prefabbricato privato, con servizi igienici e l’accesso al sistema elettrico.
“Nel campo siamo noi donne a occuparci di tutti gli aspetti della vita quotidiana – racconta Iptism –. Andiamo a prendere il cibo, lo cuciniamo, puliamo, badiamo ai bambini… ci occupiamo di tutta la famiglia. Molti uomini soffrono di depressione per colpa della guerra, si vergognano per aver abbandonato il loro Paese e sentono di aver perso il loro ruolo. Per fortuna la vita all’interno del campo piano piano si sta ricreando: ci sono stati molti matrimoni tra persone che si sono conosciute qui. Purtroppo esiste ancora il problema dei matrimoni precoci, e molte ragazzine vengono date in sposa molto giovanissime. Ma io ripeto sempre a mia figlia di 13 anni: ‘Non sposarti, è ancora presto, continua ad andare a scuola e a studiare, solo così potrai fare le tue scelte in maniera indipendente’”.
Alice Facchini