Libia, oltre tremila racconti dell’orrore. In un report di Medu abusi, violenze, stupri
Il rapporto si basa su testimonianze dirette di migranti transitati dalla Libia, raccolte dagli operatori di Medici per i Diritti Umani nell’arco di sei anni (2014- 2020). L'85 per cento ha subito una forma di tortura, l'80 per cento ha un disturbo da stress post traumatico
“La Libia è stato un inferno. Io sono maledetta, sono proprio maledetta”. Lo ripete più volte, Sabha, originaria della Costa D’Avorio. Dal settembre 2016 alll’aprile 2017 è stata in uno dei centri di detenzione di Sabha: “mi hanno preso e portato in prigione, volevano da me dei soldi. Sono stata lì sette mesi: mi hanno fatto di tutto. Ogni giorno ci prendevano e ci portavano da alcuni uomini per soddisfare le loro voglie. Mi hanno preso da davanti, da dietro, erano così violenti che dopo avevo difficoltà anche a sedermi. Mi filmavano mentre mi violentavano. Mi urinavano addosso. Un giorno mi hanno costretta ad avere un rapporto con un cane e loro mi hanno filmato. Sono maledetta.” La sua testimonianza, raccolta nel Cara di Mineo, fa parte del report La Fabbrica della Tortura, reso noto oggi da Medu.
Oltre tremila racconti dell’orrore. Il rapporto si basa su oltre tremila testimonianze dirette di migranti transitati dalla Libia, raccolte dagli operatori di Medici per i Diritti Umani nell’arco di sei anni (2014- 2020). Nel periodo considerato sono sbarcati in Italia 660 mila migranti, il 90 per cento è passato per il paese, provenendo dall’Africa occidentale o dal Corno d’Africa, ma anche da alcuni paesi extra africani come la Siria e il Bangladesh. Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale per i Migranti (Oim), sono circa 636 mila i migranti presenti oggi in Libia (dicembre 2019), mentre sono 48 mila i rifugiati e richiedenti asilo registrati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). Le informazioni sono state raccolte in particolar modo in Sicilia, nell’hotspot di Pozzallo, nei centri di accoglienza di Ragusa e Mineo, e a Roma, nei luoghi informali di accoglienza e presso il Centro Psyché per la riabilitazione delle vittime di tortura. Altre testimonianze sono state raccolte ad Agadez, in Niger. L’età media dei migranti e rifugiati (88 per cento di sesso maschile e 12 per cento di sesso femminile) assistiti e intervistati da Medu è di 26 anni. Tra di loro sono presenti oltre 300 minori (13 per cento), incontrati negli insediamenti informali di Roma e presso il sito umanitario di Agadez. Le principali nazionalità dei testimoni sono: Eritrea, Nigeria, Gambia, Sudan, Senegal, Etiopia, Mali, Costa d’Avorio, Somalia.
L’85 per cento ha subito abusi, torture, stupri. Secondo i dati raccolti da Medici per i Diritti Umani, nel periodo che va dal 2014 al 2020, l’85 per cento dei migranti e rifugiati giunti dalla Libia ha subito in quel paese torture e trattamenti inumani e degradanti e nello specifico il 79 per cento è stato detenuto/sequestrato in luoghi sovraffollati ed in pessime condizioni igienico sanitarie, il 75 per cento ha subito costanti deprivazioni di cibo, acqua e cure mediche, il 65 per cento gravi e ripetute percosse. Inoltre, un numero inferiore, ma comunque rilevante, di persone ha subito stupri e oltraggi sessuali, ustioni provocate con gli strumenti più disparati, fa-laka (percosse alle piante dei piedi), scariche elettriche e torture da sospensione e posizioni stressanti (ammanettamento, posizione in piedi per un tempo prolungato, sospensione a testa in giù, ecc). Questa tendenza è rimasta invariata – o addirittura si è aggravata – nel corso degli ultimi tre anni, a partire dal 2017, anno di sigla del Memorandum Italia-Libia sui migranti. Tutti i migranti detenuti hanno subito continue umiliazioni e in molti casi oltraggi religiosi e altre forme di trattamenti degradanti. Nove migranti su dieci hanno dichiarato di aver visto qualcuno morire, essere ucciso o torturato. Alcuni sopravvissuti sono stati costretti a torturare altri migranti per evitare di essere uccisi. Numerosissime le testimonianze di migranti costretti ai lavori forzati o a condizioni di schiavitù per mesi o anni. “Questi dati, probabilmente addirittura sottostimati, rappresentano, a nostro avviso, un quadro fedele delle violenze sistematiche a cui vengono sottoposti pressoché tutti i migranti e rifugiati che giungono dalla Libia nel nostro paese - spiega Medu -.Uno studio clinico da noi realizzato e recentemente pubblicato sull’European Journal of Psychotraumatology5 conferma questi dati complessivi. I 120 partecipanti allo studio erano tutti richiedenti asilo e rifugiati che si erano rivolti, o erano stati inviati, ai nostri centri clinici per una condizione di disagio psichico legata a eventi traumatici occorsi nel paese di origine o lungo la rotta migratoria, ed in particolare in Libia”.
Salute mentale: l’80 per cento ha un disturbo da stress post traumatico. L’80% dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati assistiti all’interno dei progetti di riabilitazione medico-psicologica per le vittime di tortura di MEDU in Sicilia e a Roma (circa 800 pazienti) presentava ancora segni fisici compatibili con le violenze riferite. Oltre ai segni fisici vi sono poi, spesso più insidiose e invalidanti, le conseguenze psicologiche e psico-patologiche della violenza intenzionale. Tra i disturbi psichici più frequentemente rilevati dai medici e dagli psicologici di Medu, vi sono il disturbo da stress post traumatico (Ptsd) e altri disturbi correlati ma anche depressione, somatizzazioni legate al trauma, disturbi d’ansia e del sonno. Spesso questi disturbi ricevono meno attenzione delle malattie fisiche, vengono ignorati o diagnosticati in ritardo. Questo, oltre a comportare un peggioramento e una cronicizzazione del quadro clinico, provoca gravi difficoltà al percorso di integrazione dei migranti e rifugiati nei paesi di accoglienza. Secondo lo studio di Medu pubblicato sull’European Journal of Psychotraumatology, il 79% dei pazienti presentava un disturbo da stress post-traumatico. Tra i sintomi più frequenti: ricordi e/o incubi ricorrenti degli eventi traumatici; persistenti stati emotivi negativi (paura, orrore, rabbia, colpa, vergogna); difficolta di concentrazione; sentimenti di estraneità e di distacco rispetto agli altri; ipervigilanza ed esagerate risposte di allarme; perdita di inte- resse e di partecipazione per attività significative; insonnia severa. Un terzo dei pazienti presentava poi una forma particolarmente grave di disturbo post-traumatico complesso, caratterizzato da importanti alterazioni nella regolazione affettiva, convinzioni negative relative a sé stessi, relazioni interpersonali compromesse.