La devastante crisi idrica dei grandi fiumi mette in ginocchio la popolazione. Acosta: “Sull’acqua si consumano conflitti sociali”
Il secondo fiume del Sudamerica per lunghezza (quasi 5 mila chilometri) e importanza, il Paraná, si è ridotto nel corso del 2021, in alcune zone, a poco più che un rigagnolo. Una cosa mai vista, che sta impattando in modo devastante sull’ecosistema, sull’economia e sulla popolazione, soprattutto i piccoli agricoltori e pescatori, del nord dell’Argentina e del Paraguay. Il livello dell’acqua è sceso drasticamente anche nell’altro grande fiume al confine tra i due Paesi, il rio Paraguay. Il tutto mentre la temperatura, in queste settimane dell’estate australe, si mantiene costantemente sopra i 40 gradi, e non mancano frequenti incendi, soprattutto in Paraguay
“Sono in Paraguay da circa due anni, e non ho mai visto la pioggia”. Ce lo confidava qualche settimana fa don Lorenzo Tasca, missionario fidei donum della diocesi di Treviso in Paraguay, nella diocesi di San Juan Bautista de las Misiones, in tre parrocchie non lontane dal secondo fiume del Sudamerica per lunghezza (quasi 5 mila chilometri) e importanza, il Paraná, ridotto nel corso del 2021, in alcune zone, a poco più che un rigagnolo.
Una cosa mai vista, che sta impattando in modo devastante sull’ecosistema, sull’economia e sulla popolazione, soprattutto i piccoli agricoltori e pescatori, del nord dell’Argentina e del Paraguay.
Il livello dell’acqua è sceso drasticamente anche nell’altro grande fiume al confine tra i due Paesi, il rio Paraguay. Il tutto mentre la temperatura, in queste settimane dell’estate australe, si mantiene costantemente sopra i 40 gradi, e non mancano frequenti incendi, soprattutto in Paraguay.
“È evidente che si sta verificando nella regione dei grandi fiumi che scorrono sopra l’enorme falda acquifera Guaraní un’acutizzazione della crisi ambientale senza precedenti”,
spiega al Sir da Posadas (provincia argentina di Misiones) Raúl Aramendy, difensore dei diritti umani e dell’ambiente che fa parte del Serpaj, il Servizio di pace e giustizia fondato dal premio Nobel Adolfo Pérez Esquivel, e del Ceaal (Consiglio di educazione popolare dell’America Latina): “Le cause sono diverse e concomitanti: il cambiamento climatico globale, il fenomeno cosiddetto della Niña, che porta caldo e siccità nel Continente ed è contrapposto alla corrente del Niño, che porta invece copiose precipitazioni. E poi le grandi dighe in Brasile e gli effetti delle enormi monocolture, soprattutto di soia, nel nord, del Brasile, in Argentina e in Paraguay”.
Argentina: da clima e monocolture l’impatto sull’ecosistema. L’effetto di tali monoculture è di grande impatto, “non solo per la deforestazione, ma anche per le necessità di irrigazione e di idrovie, e per il depauperamento e inquinamento del suolo, per esempio della ‘pampa humida’ in Argentina. Questa coltivazione priva il suolo di potassio, che è un elemento molto importante, e poi c’è l’uso di fertilizzanti. Le azioni dell’uomo cambiano l’ecosistema dei fiumi. Ultimamente si sono verificati numerosi attacchi di piranha ai bagnanti, perché si è quasi estinto il pesce dorado, che si ciba proprio di questi temibili pesci”. Danni ai grandi fiumi sono stati provocati anche da operazioni di dragaggio per consentire, quando la portata è normale, il passaggio di grandi navi”.
Insomma, non solo i fiumi hanno poca acqua, ma quella che c’è è inquinata e mal gestita.
Aramendy accenna alle conseguenze per i piccoli pescatori, che di fatto non possono più esercitare la loro attività in fiumi il cui ecosistema è stato sconvolto, e per gli agricoltori, presi dalla duplice morsa dell’avanzata delle multinazionali della soia e dal cambiamento climatico.
Una situazione che viene denunciata anche da Mario Nieto, sociologo, attualmente collaboratore della Caritas a Puerto Iguazú, la città argentina che si trova in pratica alla triplice frontiera con Paraguay e Brasile, ma anche collaboratore della Caritas nazionale dell’Argentina. “Sì, qui il livello del fiume è molto basso e ci troviamo in uno dei luoghi più caldi dell’emisfero australe. Il repentino cambiamento climatico ha grossi effetti sulle coltivazioni, per esempio quelle di tabacco, e sui piccoli contadini e allevatori, che praticano spesso un’agricoltura di sussistenza. Anche la pesca è in grande difficoltà, stanno scomparendo zone lagunari che erano ambiti di riproduzione itticola. Infine, anche il turismo deve scontare questa situazione.
Questa è diventata una delle zone più povere dell’Argentina, sopra la media nazionale del 45%, molte persone stanno migrando verso le città.
E, tutto attorno, avanzano inesorabili le piantagioni di mais transgenico e di soia”. La Caritas cerca di aiutare “i piccoli produttori con progetti mirati”, ma sarebbe importante attivare iniziative di cooperazione internazionale, conclude Nieto.
Paraguay: pescatori e campesinos ridotti alla fame. La situazione è simile, anzi ancora peggiore nel Paraguay, Paese ancora più povero e diseguale. “Siamo in uno scenario di calore estremo – conferma Roque Acosta, responsabile della Pastorale sociale della Chiesa paraguagia -.
E la siccità si interseca con altri problemi, come la deforestazione, gli incendi, gli attacchi e in qualche caso le uccisioni di leader sociali e campesinos, l’avanzato del modello agro-estensivo.
Le grandi imprese riescono a prendersi per sé grandi quantità d’acqua, mentre i piccoli produttori stanno perdendo il 60% del raccolto. Ma anche le grandi multinazionali sono in difficoltà e l’impatto si ripercuote su tutta l’economia. Mai avremmo pensato che il Paraguay, che sorge sopra la falda acquifera Guaraní, ricco di fiumi e laghi, avrebbe sofferto la siccità. Bastava scavare pozzi di 30 metri, c’era grande disponibilità. Ora invece siamo in questa situazione, e con le falde contaminate.
Sull’acqua si consumano conflitti sociali”,
come dimostra quanto accaduto lo scorso 22 gennaio nel centro agricolo di Aguapety, dove “è stato ucciso un leader sociale che guidava la protesta dei piccoli agricoltori contro la deviazione di un corso d’acqua effettuato dai produttori di riso, perché giungesse alle loro piantagioni”.
Conferma Diosnel Sánchez, referente della pastorale sociale dalla diocesi di San Juan Bautista de las Misiones, delimitata sia dal rio Paraguay che da Paraná: “I due fiumi non hanno praticamente più acqua, qui sono 42 gradi tutti i giorni. La siccità colpisce la popolazione locale e gli animali, oltre che, naturalmente, le attività economiche. Chiaramente, i piccoli pescatori sono i più penalizzati, ma la situazione è molto difficile anche per i campesinos.
Noi, a livello ecclesiale cerchiamo di accompagnare queste persone e al tempo stesso di sensibilizzare sulla custodia del creato”.
Prosegue Roque Acosta: “Servono iniziative di re-finanziamento per i piccoli contadini e allevatori, abbiamo avuto riunioni con altre organizzazioni, ma con i nostri mezzi è difficile articolare un piano di lavoro, mentre la politica non è certo attenta ai settori di popolazione più bisognosi d’aiuto”.
Sullo sfondo, il dibattito sulla grande diga di Itaipú, che sbarra il corso del Paraná al confine tra Brasile e Uruguay, e alimenta la più grande centrale idroelettrica del mondo, da cui dipende il fabbisogno energetico di San Paolo e Rio de Janeiro. Nel maggio del 2019 era stato siglato un “accordo segreto”, molto contestato perché secondo il parere di molti l’intesa impegnava il Paraguay ad acquisire più energia rispetto al suo fabbisogno. Il Senato, con una mozione, aveva obbligato il Governo a rivedere l’accordo. “Ma si tratta – assicura Acosta – di una questione distinta da quella della siccità e riguarda semmai la compensazione per il Paraguay”.
(*) giornalista de “La voce del popolo”