Incontro Cei su Mediterraneo. Mons. Desfarges (Algeri): “Non possiamo barricarci e costruire muri”
"I Paesi delle due sponde del Mediterraneo dovrebbero chiedersi come fare per aiutare i migranti. Perché sono persone umane che hanno vissuto situazioni terribili". Lo dice al Sir monsignor Paul Desfarges, arcivescovo di Algeri e presidente della Conferenza regionale del Nord Africa, in vista dell'incontro dei vescovi cattolici di 20 Paesi che si affacciano sul Mediterraneo (Bari, 19-23 febbraio), con la partecipazione finale di Papa Francesco
“Siamo una Chiesa di gente di passaggio. Vorremmo che il Mediterraneo fosse un mare di pace, non di morte. Un luogo di scambio tra le due coste Nord e Sud e con i nostri fratelli e sorelle musulmane”. Così mons. Paul Desfarges, arcivescovo di Algeri, presenta al Sir la sua piccola Chiesa d’Algeria. Su 41 milioni di abitanti i cattolici sono una minoranza di circa 8.000 persone, tra i quali solo 1000/2000 praticanti. La maggioranza sono stranieri, soprattutto dall’Africa sub-sahariana ma anche molti europei espatriati per lavoro. Monsignor Desfarges, francese originario di Saint-Étienne nella Loira, naturalizzato algerino, è tra i vescovi dei 20 Paesi che si affacciano sul Mediterraneo che parteciperanno all’incontro di riflessione e spiritualità “Mediterraneo, frontiera di pace”, che si svolgerà a Bari dal 19 al 23 febbraio, per iniziativa della Conferenza episcopale italiana. Sarà tra coloro che accoglieranno Papa Francesco – durante la sua visita di domenica 23 febbraio – per una parola di ringraziamento in qualità di presidente della Conferenza regionale del Nord Africa.
Monsignor Desfarges, come descriverebbe la Chiesa d’Algeria?
E’ costituita da fedeli che vengono da diverse parti del mondo. C’è qualche cristiano algerino ma la maggioranza sono stranieri, soprattutto dall’Africa sub-sahariana ma anche da qualche Paese europeo, tra cui molti espatriati per lavoro. Siamo una Chiesa di gente di passaggio. Viviamo in un Paese, come la Libia e il Marocco, attraverso il quale i migranti cercano di passare per arrivare in Europa. Come Chiesa ci siamo chiesti come vivere la nostra presenza in relazione con i nostri fratelli e sorelle musulmane e con i migranti. Vorremmo che il Mediterraneo fosse un mare di pace, non di morte. Un luogo di scambio tra le due coste Nord e Sud e con i nostri fratelli e sorelle musulmane.
Quali sono le vostre priorità pastorali?
La nostra Chiesa è stata confermata dalla beatificazione dei martiri di Thibirine. Cerchiamo la fraternità dell’incontro: una Chiesa che si occupa sicuramente della vita spirituale dei fedeli ma cerca di vivere anche una fede basata sull’incontro tra fratelli e sorelle algerine musulmane. Abbiamo il nostro servizio umanitario e caritativo, biblioteche, centri di sostegno scolastico. Ci incontriamo in maniera semplice e familiare, promuoviamo la pace e la non violenza, esprimiamo prossimità agli algerini che cercano un cammino di giustizia.
L’Algeria, come il Marocco e la Tunisia, è uno dei Paesi di transito e partenza dei migranti verso l’Europa. Cosa fate per loro?
E’ vero che l’Algeria è una delle rotte da cui i migranti cercano di passare. Molti cercano di andare verso le enclave spagnole in Marocco di Ceuta y Melilla, altri cercano di partire dall’Algeria. Noi siamo in collegamento con gli organismi internazionali come l’Oim (Organizzazione internazionale migrazioni) o altre organizzazioni per i diritti umani. Come Chiesa facciamo nostro l’atteggiamento del Buon Samaritano nei confronti dei fratelli migranti che bussano alle nostre porte e si trovano a vivere situazioni molto difficili. Se sono malati li curiamo o li aiutiamo a curarsi. Abbiamo servizi umanitari per i migranti in situazione di grave vulnerabilità, bambini o con disabilità. Li aiutiamo e li mettiamo in contatto con organismi specializzati.
Personalmente cosa prova quando incontra una persona migrante?
Quando incontro qualche migrante rimango sempre molto toccato dalla qualità spirituale di queste persone. Il ministero della giustizia algerino ci autorizza a visitare i detenuti cristiani nelle carceri, che spesso sono migranti. Sono persone con una grande fede e fanno parte anche loro della nostra Chiesa. Io sono contento di poterli accompagnare, anche personalmente.
E’ possibile pensare ad un Mediterraneo come luogo che rispetti i diritti e la dignità delle persone migranti, così come auspica l’incontro di Bari?
Questo è un problema politico. Ogni Paese ha la propria politica riguardo al fenomeno dei migranti. Come Chiesa ci rendiamo conto che è un fenomeno molto doloroso. I migranti sono in una situazione di grande difficoltà. Facciamo i primi gesti umanitari che possono portare un po’ di sollievo ma i mezzi sono molto limitati. Tutti i Paesi del Maghreb sono in una situazione simile alla nostra. Per questo è importante avere, per la prima volta, un incontro tra vescovi della costa nord e sud del Mediterraneo. Per vedere cosa la Chiesa può fare, come può dare il suo contributo e aiuto e capire come collaborare con le Chiese da cui provengono i migranti.
Da Bari partirà quindi un forte messaggio all’Europa perché il Mare nostrum diventi un luogo di accoglienza e non di morte?
Sì certo. Fondamentale sarà l’incontro finale con il Papa. Se ci sono persone che soffrono, in difficoltà, che affrontano prove così dure e drammatiche, dobbiamo chiederci tutti come organizzarci al meglio per accoglierli e integrarli. Non possiamo barricarci, costruire muri.
I Paesi delle due sponde del Mediterraneo dovrebbero chiedersi come fare per aiutare i migranti, capire se possono restare o farli tornare nel proprio Paese se necessario, sempre nel rispetto dell’umanità. Perché sono persone umane che hanno vissuto situazioni terribili.
Sa già cosa dirà a Papa Francesco?
Non ho ancora preparato un discorso. Di sicuro ringrazierò Papa Francesco perché per noi che viviamo nelle periferie la sua parola vigorosa e molto evangelica ci tocca, interpella, aiuta, incoraggia e sostiene. Sarà un ringraziamento perché il Papa ci ricorda che finalmente il Vangelo è forse capace di trovare soluzioni. La solidarietà tra i Paesi è un cammino da costruire, non ci si può barricare. Il Papa ci ricorda l’umano negli esseri umani: l’incontro dell’altro nella sua differenza, nel suo mistero, indipendentemente dalla nazionalità e dalla religione, è un arricchimento.