Il colpo di stato in Sudan e quella "fragile quasi-democrazia" minata
Il 25 ottobre i militari hanno preso il potere, rovesciando la politica di transizione cominciata due anni fa. Esecutivo arrestato. A capo del paese c’è Abdel Fattah Al-Burhan, numero uno dell’esercito che si è dichiarato presidente
La situazione precipita di nuovo nella Repubblica del Sudan, una fragile quasi-democrazia africana ancora in cerca di stabilità. Lunedì 25 ottobre, infatti, i militari hanno preso il potere, rovesciando la politica di transizione cominciata due anni fa. il primo ministro in carica, Abdallah Hamdok, è stato in un primo momento arrestato, insieme agli altri componenti dell’esecutivo, e portato in un posto non noto. Il giorno seguente è stato riportato a casa, dove però si trova in stato di fermo. La capitale Karthoum, già teatro di manifestazioni da settimane, è ora isolata. L’aeroporto è fermo dall’inizio del golpe e non è permessa la libera circolazione. A capo del Paese c’è ora Abdel Fattah Al-Burhan, numero uno dell’esercito che si è dichiarato presidente.
La storia recente del Sudan comincia almeno nell’aprile 2019. Risale a quel periodo, infatti, una cesura drastica ai vertici del Paese. Le piazze si erano riempite di gente per settimane e alla fine Omar al-Bashir fu costretto ad andarsene, dopo un governo cominciato ben trent’anni prima. A cacciarlo erano state le Forze di libertà e cambiamento (Ffc) e da allora la comunità internazionale, Stati Uniti in testa, aveva appoggiato un esecutivo di transizione formato da politici e da deputati delle milizie locali. La situazione è precipitata di nuovo il 21 settembre: quel giorno c’è stato un tentativo di colpo di Stato non andato a buon fine, ma che ha comunque contribuito a far crescere di molto le tensioni tra civili ed esercito. Chi ancora sognava il ritorno di al-Bashir ha manifestato di fronte al Parlamento, chiedendo a gran voce la cacciata di tutti i ministri in carica. Da parte sua, Abdallah Hamdok ha cercato di dare ascolto a quel che stava accadendo convocando elezioni libere e democratiche nel Paese, che si sarebbero dovute tenere tra circa tre settimane, il 17 novembre.
L’escalation. Da sabato 23 ottobre in poi la situazione non ha fatto che peggiorare. Il presidente si è dichiarato completamente allineato alla “transizione democratica civile”, respingendo le richieste dei militari. E così il 24, nel tardo pomeriggio, l’esercito ha occupato le strade, ha soppresso le manifestazioni con gas lacrimogeni e tagliato l’accesso a internet nel Paese.
La testimonianza. Una persona presente in Sudan per motivi umanitari, che chiede l’anonimato, lunedì commentava così: “Stamane le strade sono deserte. Qualcuno si muove in cerca di negozi per fare le scorte. Domani sarebbe giorno di paga, quindi a stare in casa senza soldi e senza pane sarà dura. Ieri per strada sono scesi a migliaia. L'esercito non c'è andato leggero. Ci sono stati morti e feriti”.
L’articolo integrale di Laura Fazzini, Sudan: colpo di Stato militare affossa la quasi-democrazia africana, può essere letto su Osservatorio Diritti.