I Ventisette a Bruxelles: Europa alla prova del Covid
Sul tavolo del summit che si svolge oggi e domani “in presenza” a Bruxelles la risposta europea alla crisi generata dal coronavirus. In agenda il bilancio pluriennale (Qfp) e il Recovery Plan. Ma restano almeno tre nodi da sciogliere: il fattore-tempo, entità degli aiuti per i Paesi in recessione e, prima ancora, la necessità di scelte politiche nel segno della solidarietà
La pandemia da coronavirs “ha causato molte vittime in tutta Europa e ha inferto un duro colpo alle nostre economie e società e continua ad avere un impatto sulle nostre vite”. Lo ha affermato Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, nella lettera di invito spedita ai 27 capi di Stato e di governo che oggi si ritrovano “in presenza” a Bruxelles – per la prima volta dal lockdown – per definire la risposta europea alla crisi generata dal Covid-19. “Tutti i nostri sforzi devono concentrarsi sulla costruzione di una ripresa sostenibile. A tal fine, il nostro incontro sarà dedicato al Quadro finanziario pluriennale e al Recovery Plan”. Nelle intenzioni di Michel, il summit, che potrebbe proseguire anche domani, dovrebbe definire l’ordine di grandezza del bilancio pluriennale dell’Ue per il periodo 2021-2027 e l’entità del piano di ripresa – tra loro correlati – che la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha enfaticamente ribattezzato Next Generation Eu.
Le proposte sul tavolo sono chiare (Qfp da 1.074 miliardi; Recovery Plan da 750, di cui 500 a fondo perduto e 250 sotto forma di prestiti da rimborsare) anche se non definitive, perché tra i governi finora non s’è trovato l’accordo, mentre Parlamento e Commissione europea spingono per decisioni generose in quanto a entità, e urgenti in relazione alla tempistica. “Non c’è tempo da perdere”, hanno ribadito più volte in queste settimane la stessa von der Leyen e David Sassoli, presidente dell’Euroassemblea.
Tre le condizionalità sul tavolo: ogni Paese che necessiterà di aiuti dovrà definire un “piano nazionale per la ripresa e la resilienza” per il periodo 2021-2023; il 30% dei finanziamenti dovrà essere destinato a progetti legati al clima; la terza condizionalità proposta dal presidente Michel è legata allo Stato di diritto e ai valori europei.
“Stiamo compiendo un passo fondamentale per ancorare lo Stato di diritto e i valori al nostro progetto europeo – ha spiegato il politico belga – ed è per questo che propongo di stabilire un legame solido tra i finanziamenti e il rispetto della governance e dello Stato di diritto”.
Ma quali sono i nodi da sciogliere durante questo delicatissimo Consiglio europeo per far sì che l’attesa risposta europea sia efficace?
Il primo è la questione-tempo. La crisi sanitaria non è archiviata, anzi; nel frattempo si stanno misurando le pesanti ricadute della crisi economica e occupazionale, con Pil in caduta libera, aziende che rischiano di non riaprire e mercati del lavoro in estremo affanno.
Ogni decisione legata al Recovery Plan non deve tardare.
Il fattore tempo aveva pesato durante la crisi del 2008, ora si spera che la lezione sia stata appresa. Anche perché tra il via libera politico e istituzionale al Recovery Plan e la sua concreta attuazione a sostegno delle economie nazionali potrebbero passare mesi. Ma lavoratori, famiglie, imprese, mercati non possono aspettare.
Il secondo nodo è legato all’entità degli interventi per la ripresa sostenibile. Un Qfp da poco più di mille miliardi è da tempi ordinari, non da stagione straordinaria. E un Recovery Plan da 750 miliardi, spalmati su tre anni e potenzialmente per 27 Paesi, non è proprio un “bazooka”, come è stato (impropriamente) definito.
La terza questione aperta è quella “politica”. E forse la più difficile da dipanare.
Si tratta infatti di verificare se tra i Paesi Ue, alla luce di una pandemia che ha portato ovunque morte, recessione, sfilacciamento sociale, la solidarietà potrà tornare ad essere principio cardine del processo di costruzione europea.
Ci sono Paesi più colpiti dal Covid e altri fortunosamente quasi risparmiati; nazioni che hanno risposto – in chiave di precauzioni e cure – con maggiore efficacia alla diffusione della malattia e altre più segnate da sofferenze e lutti; economie che scontano contrazioni del Pil attorno al 5-6% e altre, come l’Italia, che vanno oltre l’11%. Comunque sia, l’Europa ha avuto tempo per accorgersi che “siamo tutti sulla stessa barca”. Una risposta coesa e, appunto, solidale appare come la sola via d’uscita da questa nuova sfida comune che l’Ue deve affrontare.
Dunque la cosiddetta “frugalità” di certi Paesi assomiglia di più a egoismo, e certe “prediche” di qualche premier nordico appaiono fuori luogo. Pur con toni differenti, i leader di Germania, Francia, Spagna e Italia hanno espresso messaggi positivi indirizzati ad una risposta europea alla crisi. In questo summit Merkel e Macron, Sanchez e Conte, assieme a Michel e von der Leyen potrebbero fare la differenza.
L’Ue deve mostrarsi immediatamente capace di tessere una rinnovata alleanza economica, sociale, sanitaria che traduca nei fatti i valori europei di mutuo sostegno, ponendo al centro le esigenze dei cittadini, specialmente quelli che più di altri stanno facendo le spese della pandemia. Alternative credibili non ce ne sono.