Globalizzazione, soggetti collettivi, onnipotenza digitale: i drammi di una società senza memoria
L’analisi di Ferruccio De Bortoli in chiusura del venticinquesimo seminario per giornalisti Redattore Sociale. “Il pensiero critico degrada. La comunicazione si semplifica ed è più facile avere dei bersagli. Ci troviamo nella posizione di non essere mai messi in discussione, mentre possiamo mettere in discussione tutti gli altri!”
CAPODARCO DI FERMO – E’ tornato dopo quasi 20 anni a Capodarco. L’ex direttore del Corriere della Sera e de Il Sole 24 Ore, Ferruccio De Bortoli, ha chiuso la venticinquesima edizione del Seminario per giornalisti Redattore Sociale. Sollecitato dal presidente della Comunità di Capodarco don Vinicio Albanesi, De Bortoli ha analizzato le tendenze che condizionano il comportamento, le problematiche più urgenti che gravano sulla società. Ipertrofia dell’io, mondializzazione, materialità: la prima provocazione è partita da questi tre grandi “virus”, sapientemente inoculati nella discussione da don Albanesi.
La perdita di peso dei “soggetti collettivi” e l’onnipotenza digitale
“Ha perso peso specifico la famiglia. Hanno perso peso specifico soggetti collettivi come possono essere stati i partiti e i sindacati, corpi intermedi che hanno garantito la selezione sufficiente della classe dirigente. Ma anche con la digitalizzazione questi soggetti collettivi hanno perso il loro ruolo. Esistono pochi partiti che hanno un’origine novecentesca, di fatto solo la Lega. Gli altri partiti sono tutti cambiati. Per altro verso nel contesto italiano solo i sindacati e Confindustria hanno mantenuto la denominazione originaria. Non solo: lo Stato, nella globalizzazione, è diventato sempre meno rilevante. E oggi, con la mobilità globale, anche il legame è venuto meno. Dunque abbiamo avuto una progressiva perdita di peso dei soggetti complessivi. Chi deve gestire questa globalizzazione sono, però, proprio i soggetti del ‘900: il Fondo monetario, l’Organizzazione internazionale del commercio, ecc… Insomma, abbiamo una globalizzazione senza soggetti di governo. E con la globalizzazione non sono state premiate le democrazie, che sono entrate in crisi. Vediamo il credito che godono personaggi come Putin, Orban, ecc…”
De Bortoli va oltre: “La globalizzazione ha indotto, nel bene e nel male, un isolamento dei cittadini nelle società occidentali. Ha portato a una forma di paura, di rifiuto, ha portato all’idea che il futuro non è più nelle nostre mani. Lo si nota nella trasformazione genetica del diritto di voto: oggi si vota molto di più per contrasto, per negazione. Questo dà il senso di ciò che è accaduto. C’è un’enfasi sull’io, dovuta forse - anche questa - alla digitalizzazione del mondo dell’informazione. E sulla rete abbiamo spesso al sensazione di bastare a noi stessi, di essere testimoni in diretta della realtà. E se uno ritiene di essere testimone diretto non ha bisogno di intermediari (ma per capire un avvenimento non basta essere testimone, occorre capire l’antefatto, occorre capire la storia dei protagonisti…). Si costruisce così una storia collettiva che crea un’opinione comune data da una sensazione che si condivide con gli altri. Il fatto di condividerla con altri ci dà l’impressione che sia vera. E il verosimile può essere scambiato per vero. Anche queste reazioni che vediamo contro la scienza, la banalizzazione della competenza, ecc… dipendono da questa forma di informarsi. C’è allora un problema di regole, di “ecologia della rete”. Perché il cittadino rischia di trasformarsi in suddito. O nella migliore delle ipotesi di un naufrago... Sono connesso con la mia comunità di riferimento. Questo crea anche una forma di onnipotenza digitale. E il pensiero critico degrada. La comunicazione si semplifica ed è più facile avere dei bersagli. Sforniamo alibi e, in definitiva, ci troviamo nella posizione di non essere mai messi in discussione, mentre possiamo mettere in discussione tutti gli altri!”.
Per contro, “ogni desiderio è un diritto. Abbiamo ecceduto con il tema dei diritti. E ci siamo dimenticati del corrispettivo del doveri. Il voto è un diritto, ma è anche un dovere. Chi si astiene viene meno a un dovere di scelta. E per farlo occorre informarsi, studiare, fare scelte”. Onnipotenza del giudizio e disimpegno nelle scelte, insomma. Un mix esplosivo.
Quanto alla materialità, per De Bortoli è l’effetto paradossale di una smaterializzazione dell’economia. “Più che materialità non ci troviamo di fronte a una progressiva smaterializzazione dell’economia. E questo crea tutta una serie di problemi. Io mi pongo il problema piuttosto della virtualità. Cosa crea effetti virtuali e cosa crea invece problemi reali? Il problema della gestione dei dati personali, ecc… le nostre vite non sono mai state così tracciate e così spiate come ora. Fino a che punto si possono condizionare le scelte di consumo ma anche le scelte personali più intime? E le scelte di voto? E’ questo il vero problema”.
Twitter ha deciso di non accettare più la propaganda politica sulla sua piattaforma. Google ha fatto scelta diversa. Facebook non ha fatto nulla, ma Zuckerberg ha detto “dateci delle regole”. Qualcosa potrebbe cambiare. Ma si apre tutto un tema di etica sulla rete, che riguarda persone e comunità”.
Questo è il tema: la globalizzazione che regola la libertà di movimento. Ma chiudersi non ha senso, soprattutto per l’Italia. Sarebbe l’accettazione di un declino. Ma dobbiamo ordinare questa globalizzazione, sarà importante far sì che le comunità – che sono una risposta civica importante – possano essere di compensazione di odi, pregiuidizi, ecc… Cose che a livello individuale è difficile contrastare”.
“Ci salveremo”
“Ci salveremo” è il titolo dell’ultimo libro di Ferruccio De Bortoli. “Senza punto interrogativo”, ha sottolineato. Un approccio in risposta all’ulteriore provocazione di don Albanesi, abile ad evidenziare che “ci sono spazi dove l’”inquinamento” non è arrivato”. L’inquinamento dell’odio, della perdita di coscienza civica, del senso del dovere. “Ma se non arriverà un grande vento (guerra, disastro ambientale, colossale..) la tendenza all’inquinamento non si riuscirà a vincere. E detto da un prete sembra una cosa brutta”, ha evidenziato…. La via d’uscita? Arriva dalla lettura del capitolo quinto del vangelo di Matteo, quello sulle “beatitudini”, dove ci sono indicazioni da cui ripartire. “Siate umili, miti, consolatori, giusti, sinceri, pacifici e fedeli. E’ filosofia umana”, ha chiosato don Albanesi”.
“Tutto ciò che hai detto sono virtù che sono tipiche di una buona cittadinanza, che si riscoprono soprattutto nell’emergenza, quando si è in difficoltà ha risposto De Bortoli -. E nell’emergenza siamo bravissimi. Io continuo a sperare che ci possa essere una sorta di riscossa civica non tanto nell’emergenza ma nella quotidianità. Storici hanno visto come cambiava l’economia delle società dopo pestilenze, guerre, ecc… Però quello che è accaduto negli ultimi anni ci fa dire che noi viviamo in una costante emergenza climatica. Il cambiamento climatico ci pone di fronte a emergenze costanti. Come se ci trovassimo in situazioni successive a una guerra. Ce ne rendiamo conto o no? Il tema è: esiste la consapevolezza, la maturità del Paese per porsi il problema di come costruire il futuro? Del futuro non ci occupiamo più, i giovani sono pochi e se ne vanno… l’emergenza c’è già ed è questa. Abbiamo perso una regione come la Valle D’Aosta di laureati. E come se fossero andati via su una barca ideale… Questa sensibilità c’è o no? Le nostre famiglie sono molto patrimonializzate. Che futuro ha un Paese in cui un risparmio così elevato non si traduce in investimenti per il futuro?”
Poi c’è la perdita della memoria. Io non penso ci sia un pericolo di ritorno al fascismo o al nazismo. C’è però un rischio di perdita di memoria di quello che eravamo anche solo 50 anni fa, di come si comportavano i nostri genitori, che erano più poveri di noi. La memoria si è persa. Quelli della nostra generazione si ricordano i mutilati di guerra, il rimpianto delle persona perse durante il conflitto. L’Italia ha avuto 2 guerre in 20 anni. Le famiglie hanno reagito perché hanno avuto nel proprio vissuto le ferite della guerra. Abbiamo ricostruito con quelle ferite. Oggi quei ricordi non ci sono più ma la memoria è fondamentale: ritrovando la memoria forse agiremmo in maniera diversa. Questo è il tema fondamentale. Del senso di responsabilità verso i giovani e verso chi ancora non c’è”.
Daniele Iacopini