Dossier Autonomia: che cos'è, a che punto siamo, perché non si è trovato l'accordo
Le firme, in seconda pagina, sono del “signor” Luigi Di Maio, capo politico del MoVimento 5 Stelle e del “signor” Matteo Salvini, segretario federale della Lega. Un documento di poco meno 60 pagine, anzi il contratto di quello che, per 14 mesi, è stato il Governo del cambiamento. Un patto, un impegno di fronte ai cittadini, firmato nero su bianco dai due vice-premier, per una dichiarazione d’intenti sui piani d’intervento prioritari che – ormai si può dire – avrebbe dovuto attuare il governo nato 88 giorni dopo le elezioni del 4 marzo 2018.
Sui 30 punti enunciati, a pagina 35, è introdotto il passaggio sulle riforme istituzionali e, come sottoparagrafo, si parla delle autonomie regionali, uno dei punti sul quale il governo giallo-verde ha più tergiversato tra rinvii, proclami e rimpalli. Nel punto 20 si legge:
“Sotto il profilo del regionalismo, l’impegno sarà quello di porre come questione prioritaria nell’agenda di Governo l’attribuzione, per tutte le Regioni che motivatamente lo richiedano, di maggiore autonomia in attuazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, portando anche a rapida conclusione le trattative tra Governo e Regioni attualmente aperte. Il riconoscimento delle ulteriori competenze dovrà essere accompagnato dal trasferimento delle risorse necessarie per un autonomo esercizio delle stesse. Alla maggiore autonomia dovrà infatti accompagnarsi una maggiore responsabilità sul territorio, in termini di equo soddisfacimento dei servizi a garanzia dei propri cittadini e in termini di efficienza ed efficacia dell’azione svolta”.
L’impegno è partito dalla Lega, forte anche dei due referendum consultivi di ottobre 2017 in Lombardia e in Veneto: alle urne si sono recati oltre tre milioni di lombardi (il 38,25 per cento degli elettori) e 2,3 milioni di veneti (il 57,2 per cento degli aventi diritto) e il “sì” all'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia al proprio ente territoriale ha trovato il 95,29 per cento dei consensi in Lombardia e addirittura il 98,1 per cento in Veneto. Con questa “legittimazione popolare”, che comunque non avevano esiti vincolanti, i governatori Roberto Maroni e Luca Zaia si sono attivati avendo in mano maggiore forza politica alla richiesta. L’Emilia-Romagna, per esempio, ha attivato le procedure senza referendum e dopo un voto in consiglio regionale e le tre regioni, con altrettanti distinti accordi preliminari con il governo Gentiloni, in vista della definizione dell’intesa che sembrava dovesse arrivare in tempi piuttosto brevi.
In realtà anche Luigi di Maio ha ricordato più volte che il Movimento sostiene i referendum e che è intenzionato a mettere in pratica la volontà degli elettori. Anche al termine della prima sessione delle consultazioni con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e in piena crisi di governo, il leader dei 5 ha detto: «Va completato il processo di autonomia richiesto da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, istituendo livelli essenziali di prestazione per tutte le altre regioni per garantire a tutti i cittadini gli stessi livelli di qualità di servizi. Va anche avviato un serio piano di organizzazione di enti locali, abolendo gli enti inutili».
Cosa si intende per autonomia differenziata
Si tratta di una potestà riconosciuta dall'articolo 116 della Costituzione dopo la modifica avvenuta con la riforma costituzionale del Titolo V approvata nel 2001. Al terzo comma prevede: "Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117, possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata".
L'articolo 116 dunque prevede la possibilità di attribuire forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario, il cosiddetto "regionalismo differenziato" o "regionalismo asimmetrico", in quanto consente ad alcune Regioni di dotarsi di poteri diversi dalle altre. Il Veneto ha chiesto e individuato 23 materie, di queste 20 sono indicate nell’articolo 117 della Costituzione e sono: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.
Le altre tre materie sono di competenza esclusiva dello Stato ma possono essere trasferite alle Regioni mediante accordo e sono: organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull'istruzione e tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.
Le 9 tappe + 1 prima del Governo Conte
28 febbraio 2018: Al termine di tre mesi di negoziati, il presidente Luca Zaia, insieme ai presidenti Roberto Maroni e Stefano Bonaccini, suoi omologhi di Lombardia ed Emilia-Romagna, firma col sottosegretario Gianclaudio Bressa un accordo preliminare in merito all'intesa. Zaia, che per scaramanzia aveva firmato il contratto con la stessa penna con cui aveva indetto il referendum del 22 ottobre, uscendo da Palazzo Chigi afferma: «È una giornata storica, non perché voglia essere autocelebrativa, ma perché è la prima volta che, al settantesimo anno della costituzione, finalmente qualcuno decide di dare spazio al regionalismo e all'autonomia».
1° giugno 2018: E’ il primo giorno della XVIII legislatura. Erika Stefani, esponente della Lega, viene nominata ministro con delega agli Affari regionali e autonomie. Un assist di governo per sperare nell’accordo in tempi brevissimi. Alla sua prima intervista dice che la sua intenzione è «portare in parlamento la legge con l’intesa tra lo Stato e la Regione, entro la legislatura, il più presto possibile». E su un possibile ostacolo degli alleati del Movimento 5 Stelle, aggiunge: «Se si affossa l’autonomia, salta il governo. Per noi è una partita fondamentale, ci abbiamo messo la faccia e abbiamo preteso fosse inserita nel “contratto”. Non vedo, però, per quale ragione dovrebbero mettersi di traverso: in Veneto e in Lombardia l’hanno sostenuta, perché non dovrebbero farlo in parlamento? E lo stesso si può dire di Forza Italia e di parte del Pd, spero non vogliano tradire i loro elettori».
5 giugno 2018: Fiducia al Governo Conte. Un’amnesia e una toppa prontamente messa da Giuseppe Conte durante il suo primo discorso in aula del Senato nei panni di presidente del Consiglio. Durante il primo intervento, infatti, Conte trattando di vari argomenti non fa menzione ai percorsi di autonomia. Dopo qualche preoccupazione e malumore, ripreso il microfono, il presidente del Consiglio pronuncia queste parole: «Nel programma di governo c’è anche attenzione all’altra possibilità data dall’articolo 116 terzo comma della Costituzione: le Regioni che lo chiedono in modo motivato possono ottenere una maggiore autonomia. Ci sono già delle trattative in corso. Le seguiremo con attenzione. Tanto più se queste iniziative si radicano su istituti di democrazia diretta».
15 luglio 2018: Sul palco di Oppeano, in provincia di Verona, durante la festa della Lega, il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, annuncia convinto: «Conto che entro l’estate il Consiglio dei ministri possa approvare quello che Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna porteranno come richieste». Un’azione lampo, una staffetta da chiudere entro l’estate con una parola d’ordine: tirare dritto. «Ho sentito Luca Zaia e ho incontrato Attilio Fontana. L’obiettivo? Entro la fine di questo mese avere le idee chiare su qual è la strada più veloce da percorrere e poi dare un seguito al voto di quasi due milioni di cittadini italiani che in Veneto e in Lombardia per ora, e in altre regioni mi auguro, chiedono una politica più vicina ai territorio».
11 settembre 2018: Si inizia a parlare ufficialmente di bozza di accordo e si annuncia anche una data. Un giorno da cerchiare in rosso sulla strada che conduce all’autonomia del Veneto anche perché è la stessa in cui si è svolto il referendum: il 22 ottobre. A dirlo è Erika Stefani durante un dibattito all’Università di Padova: «La mia intenzione è quella di poter portare una bozza di intesa per una prima discussione in Consiglio dei ministri entro il 22 ottobre». Per raggiungere il traguardo, Stefani confida nella lealtà dei partner di governo: «Sono certa che il Movimento 5 Stelle sarà al nostro fianco, anche perché è già nel contratto di governo e nella cabina di regia che ho varato fin dall’inizio per trattare la questione».
13 ottobre 2018: A quasi un anno dal referendum, Erika Stefani dichiara che la bozza di legge è pronta per essere consegnata al premier Conte; contiene tutte e 23 le materie e annuncia dettagli importanti sulla permanenza di una quota di Iva e Irpef nella regione: «La bozza prevede forme di compartecipazione da parte della Regione al gettito d’imposta generato sul suo territorio. Per il quantum si farà inizialmente riferimento ai costi storici ma nell’arco di qualche anno si passerà ai costi standard. Si tratterà dell’Iva e dell’Irpef, sono le imposte che meglio si prestano allo scopo. Il principio di base è chiaro: perché l’autonomia funzioni occorre che la trattenuta sia alla fonte».
22 dicembre 2018: Zaia parla di regalo di Natale per i veneti. Nell’ultimo consiglio dei ministri, il governo ha deciso le prossime scadenze sulla concessione di maggiore autonomia a Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Due le date fissate: il 15 gennaio, termine ultimo per il lavoro tecnico che il ministero per gli affari regionali deve svolgere con gli altri dicasteri sulla base dei progetti presentati dalle tre Regioni; un mese dopo, entro il 15 febbraio, invece, si devono definizione le proposte che il Governo presenterà alle Regioni. Giuseppe Conte dice: «Abbiamo fatto un passaggio importante, qualificante dal punto di vista politico, abbiamo avviato il percorso per l'autonomia riconosciuta a Veneto, Lombardia e Emilia Romagna. Il percorso è articolato, richiede del tempo, ma non siamo rimasti con le mani in mano. Siamo in fase avanzata, abbiamo definito un percorso cronologico. Poi occorrerà una legge dello Stato a maggioranza assoluta del Parlamento, ma l'intesa è fondamentale».
14 febbraio 2019: Dopo l’intesa con ministero dell’Economia e della Finanza, il 14 febbraio il consiglio dei ministri ha avviato il percorso, ma M5S e Lega sono distanti su due punti: i Cinque Stelle premono affinché il Parlamento abbia un ruolo centrale con le Camere che devono essere coinvolte in maniera adeguata nell'iter di approvazione. Il secondo: i pentastellati dicono sì al processo di autonomia soltanto a patto che questo sia solidale e cooperativo. Il trasferimento di funzioni, è il ragionamento, non può e non deve essere un modo per sbilanciare l'erogazione di servizi essenziali a favore delle regioni più ricche.
12 giugno 2019: Viene nuovamente rinviata la discussione sull’autonomia nel consiglio dei ministri. Le diverse visioni nella squadra di governo emergono nella loro inconciliabilità: alcuni esponenti del Carroccio accusano gli allegati pentastellati di fare muro, mentre questi ultimi difendono le loro perplessità citando un dossier di 12 pagine redatto dal Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi. Nel documento emergono “dubbi di costituzionalità” sulla seconda versione della bozza d’intesa predisposta dal ministro per gli Affari regionali, Erika Stefani. In particolare, le perplessità sono sulla spesa media pro capita che metterebbe a rischio la tenuta dei conti dello Stato e il devolvere le 23 materie che, secondo i tecnici, darebbe vita a nuove regioni a statuto speciale e competenze che sono “indivisibili”.
8 luglio 2019: Nuova fumata nera. Nel vertice a Palazzo Chigi sull’autonomia differenziata, Lega e Cinque stelle non hanno raggiunto un accordo definitivo. Salvini esce anticipatamente.
I motivi del mancato accordo
Oltre al coinvolgimento del Parlamento nelle decisioni tra Stato e Regioni e ai principi “solidali e cooperativi”, sono altri tre i irrisolti sui quali si è arenata, nell’ultima discussione di luglio, la trattativa tra Lega e Movimento 5 Stelle per giungere alla fumata bianca sull’autonomia differenziata. I pentastellati non avrebbero voluto cedere competenze alle regioni in materia di concessioni autostradali e ferroviarie che facevano capo a Danilo Toninelli. Altro nodo era l'assunzione diretta dei docenti cui le regioni puntano per sopperire alla denunciata carenza di organici e che in sostanza prevede i concorsi regionali. Un punto sempre criticato dal M5s, ritenuto dannoso per le altre regioni che non hanno fatto richiesta dell'autonomia differenziata. Nodi sempre riguardo all'istruzione erano emersi anche sull'articolo 11 e riguardano il piano di studio, le valutazioni di sistema, l'alternanza scuola lavoro, la formazione degli insegnanti, il contenuto dei programmi.