Dall’industria al turismo, passando per commercio e artigianato, sono ingenti le perdite causate dallo stop forzato del Coronavirus
Dall’industria al turismo, passando per commercio e artigianato, sono ingenti le perdite causate dallo stop forzato. Secondo i dati forniti dalla Regione, il solo Veneto perde 12 miliardi di pil in un mese.
La crisi economica originatasi dalla pandemia di Coronavirus si muove in modo così veloce e imprevedibile che risulta complicato delinearne i confini.
L’insieme di circostanze che si stanno verificando in queste settimane, rischia di mettere in crisi alcuni dei pilastri su cui, negli ultimi decenni, si è sorretto il nostro sistema economico. Viene a essere messo in discussione, in prima battuta, il ruolo delle banche centrali e la loro capacità di tranquillizzare i mercati attraverso la creazione di nuova moneta; cosi come gli Stati – troppo piccoli e divisi di fronte alla grande crisi – stentano a trovare politiche realmente credibili agli occhi di famiglie e imprese. C’è chi definirebbe questa situazione come un cigno nero e chi, molto più prosaicamente, come una tempesta perfetta in cui le famiglie non consumano e le aziende non producono perché lasciate senza rifornimenti in entrata, senza lavoratori e senza mercati di sbocco.
«Mi è di conforto – chiosa con sarcasmo Enrico Zanetti, commercialista ed ex viceministro all’economia nel Governo Renzi – sapere che saremo tutti sani come pesci quando moriremo di fame». Il potere di una battuta sta nella sua capacità di riassumere una situazione complessa in poche parole, aprendo la strada ad analisi più articolate.
Se la serrata di tutte le attività industriali e commerciali non essenziali sta infliggendo un pesante fermo al contagio del Coronavirus, ha avuto il non trascurabile effetto collaterale di mettere “ko” l’economia del Paese. Il solo Veneto perde, secondo i dati forniti dal presidente Luca Zaia, una dozzina di miliardi di euro al mese di pil e il resto del Paese non se la passa meglio.
Nel primo semestre dell’anno, l’Italia lascerà sul campo un meno 10 per cento di pil, con l’industria in calo di oltre il meno 16 per cento a marzo e livelli di produzione prossimi a quelli del 1978. Va ancora peggio, se possibile, per l’industria automobilistica con Fca, ad esempio, che registra in Italia un calo del meno 90,34 per cento a marzo.
«L’artigianato – spiega Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi di Cgia – rischia di estinguersi, o quasi, in particolar modo nelle piccole città e nei paesi di periferia dove molte attività, a fronte dell’azzeramento degli incassi, degli affitti insostenibili e di una pressione fiscale eccessiva, non reggeranno il colpo e saranno costrette a chiudere. Se la situazione non migliorerà entro la fine del prossimo mese di maggio, è verosimile che entro quest’anno il numero complessivo delle aziende artigiane scenderà di almeno 300 mila unità: vale a dire che il 25 per cento delle imprese artigiane presenti in Italia chiuderà i battenti».
A pagare il conto maggiore del prolungarsi della crisi sono le aziende legate all’edilizia che, da sole, stimano perdite per 3,2 miliardi di euro. Male anche la manifattura, con una flessione in termini assoluti di 2,8 miliardi, e i servizi alla persona con una perdita di 650 milioni di euro.
«Dovremo recuperare – ha dichiarato il presidente di Confindustria Veneto Enrico Carraro – la produzione e la produttività perduta, e per farlo serviranno straordinari, turni stringenti. E diciamo chiaro che quest’anno le fabbriche dovranno restare aperte anche ad agosto». È una posizione difficile quella degli industriali, fermi a metà del guado tra la necessità di riaprire le aziende in sicurezza e le incognite per il futuro, legate all’interdipendenza che le fabbriche italiane hanno con le filiere europee e asiatiche.
Una decisione all’apparenza più che ragionevole rischia però di infliggere un colpo durissimo al settore turistico, il cui giro d’affari per quest’anno si stima in 16 miliardi di euro rispetto ai 57 miliardi del 2019. Superata la quarantena, le località turistiche venete rischiano di rimanere comunque vuote vista la defezione dei turisti internazionali e, in ultima istanza, di quelli nazionali che hanno consumato le ferie durante la quarantena e lavoreranno nelle aziende aperte in agosto.
Di fronte alla moltitudine d’incertezze che si manifesta in questi giorni, c’è chi teme un dilagare della sfiducia sociale e chi, invece, vede una speranza per il futuro. Entrambe le correnti fondano la loro analisi sull’ultima pandemia, quella di Spagnola del 1918: gli ottimisti aspettano con ansia il rimbalzo dell’economia dopo la caduta, i pessimisti si preoccupano di come contrastare il malanimo dilagante. Mentre l’opinione pubblica e gli esperti si dividono, qualche timida speranza si solleva dal mondo economico. Sindacati e aziende si ritrovano a parlare apertamente di rinascimento industriale, mentre le piccole realtà si scoprono all’avanguardia anche nelle consegne a domicilio. Forse non tutto è perduto.
Reddito di emergenza per 3 milioni di italiani
Più del reddito di cittadinanza poté quello d'emergenza: secondo le stime del ministro del lavoro, Nunzia Catalfo, ci sono circa 3 milioni di italiani a cui lo stato dovrebbe garantire un reddito in questa stagione di crisi. «Nessuno perderà il lavoro» ha spiegato il ministro, anticipando uno stanziamento da 3 miliardi di euro.