Dall’attentato a Fico alla logica dei blocchi: i ricorsi storici interpellano l’Europa

Si tratti o meno del gesto di un lupo solitario, l’attentato non può non riportare alla memoria l’epoca buia in cui la logica binaria della polarizzazione mondiale si riverberò nella società europea, in un clima di violenza che in Italia volle dire “anni di piombo”

Dall’attentato a Fico alla logica dei blocchi: i ricorsi storici interpellano l’Europa

Mentre si annuncia che Robert Fico non è più in pericolo di vita, le autorità di Bratislava cercano eventuali fiancheggiatori di Juraj Cintula tra gli incitatori a reati d’odio contro il premier slovacco. Si tratti o meno del gesto di un lupo solitario, l’attentato non può non riportare alla memoria l’epoca buia in cui la logica binaria della polarizzazione mondiale si riverberò nella società europea, in un clima di violenza che in Italia volle dire “anni di piombo”.

In effetti, la stretta di mano tra Putin e Xi parrebbe fotografare il ritorno della contrapposizione Est/Ovest. Nondimeno, i due precisano che i rapporti sino-russi si offrono a modello del genere di relazioni promosso dall’assetto multipolare: all’insegna di cooperazioni poliedriche e trasversali, senza ipoteche ingerenziali. Putin infatti vuole garantire Mosca dalla totale subalternità a Pechino, mentre Xi coltiva l’opzione privilegiata dallo sviluppo cinese, che non prevede steccati di sorta. A entrambi giova sottrarsi allo schema bipolare con cui Washington cerca di riprendere fiato, rifidelizzando l’Europa e, in nome del contenimento, aprendo nuovi spazi di controllo in Asia-Pacifico. Perciò la dichiarazione congiunta di Putin e Xi è tornata a stigmatizzare la “mentalità da Guerra fredda” degli Usa, colpevole di provocare inimicizie strumentali all’egemonia unipolare e di minare l’equilibrio strategico consolidato. Le due accuse possono tradursi in due recenti rinvii fattuali.

Con la prima Mosca allude all’invito rivolto dagli Usa all’Ue di liquidare i beni russi confiscati per ricavare nuove forniture a Kiev, mentre Pechino registra i nuovi dazi di Biden sui veicoli elettrici, pari al 100% del valore. L’ennesima mossa protezionistica di Washington, se non fosse che l’export cinese negli Usa è quasi nullo (2mila veicoli lo scorso anno). Il che segnalerebbe una sorta di indicazione all’Europa che si accinge a uniformarsi alla guerra commerciale contro l’attrattività dei prezzi che la Cina realizza imparando dal fordismo originario, ossia offrendo l’intercambiabilità dei componenti in luogo dell’obsolescenza programmata dei prodotti.

Per la seconda accusa rileva la militarizzazione del Mar Cinese meridionale, dove Pechino eccepisce l’istallazione dei sistemi Typhoon sulle basi di Taiwan e delle Filippine ora guidate dal figlio del dittatore Marcos, rinfocolando le tensioni sulle isole conteste dell’Arcipelago Spratly, strategiche per le rotte sullo Stretto di Malacca. La Cina si avverte sotto tiro come la Russia a proposito della Nato in Ucraina, tanto più osservando la destrutturazione delle garanzie del passato, visto il mancato rinnovo del Trattato sui missili nucleari a medio raggio del 1987 (scaduto nel 2019) e il recesso unilaterale di Washington nel 2002 dal Trattato Abm siglato nel 1972.

Volenti o nolenti, l’Orso e il Dragone si trovano saldati dalla preoccupazione di essere nel mirino della Nato globale in agenda, che procede volgendo a integrare il Giappone nell’Aukus da coordinare con la tessitura di altre alleanze militari dal Nordest al Sudest asiatico.

Russia e Cina attendono la variabile delle presidenziali Usa, nell’eventualità (non così scontata) di una svolta distensiva. Attesa che vuol dire tutto fuorché calo di tensione. Così mostrano le parole di Putin, che da Pechino fa sapere di essere pronto a negoziare sull’Ucraina purché la piattaforma Usa cessi di postulare la resa incondizionata di chi sta vincendo, ma piuttosto riparta dalla bozza siglata a Istanbul a marzo 2022. Segno che l’obiettivo primario resta la neutralità militare dell’Ucraina, senza la quale la guerra continuerà fino alla creazione manu militari di una zona cuscinetto ritenuta appropriata. In tale prospettiva si legga la nomina di Belousov a ministro della difesa: un economista, già sostenitore delle tasse sugli extraprofitti, famoso in patria per la previsione, con anni di anticipo, della crisi dei subprimes del 2008. Nell’era Eltsin, le posizioni tutt’altro che turboliberiste gli costarono l’inimicizia degli oligarchi intenti a cannibalizzare le privatizzazioni. E oggi annunciano un “keynesismo di guerra” per un conflitto di lunga durata, agganciando ancor di più il pil al comparto militare-industriale.

A dispetto di Putin e Xi, che promuovono l’intesa sino-russa a fattore stabilizzatore dell’ordine mondiale, le contrapposizioni evidenziano la latitanza di un soggetto di mediazione. Grande assente in proposito resta l’Europa, candidata naturale per cultura, storia e condizioni geostrategiche. Certo non l’Europa dei ministri che rilanciano sulle armi a lunga gittata per colpire il territorio russo in profondità. Non quella che, per bocca di Charles Michel, benedice alleanze tra forze progressiste ed estremiste se utili a sostenere lo scontro di civiltà contro l’Est. Né quella che rimprovera all’Eliseo l’invito spedito in Russia alle celebrazioni dell’80° anniversario dello Sbarco in Normandia quale spunto per riannodare il dialogo. Men che meno l’Europa che nel primo trimestre 2024 registra un + 42% del rendimento azionario dell’industria militare.

L’attentato a Fico ci avverte invece del rischio di introiettare nel senso sociale l’esacerbazione delle contese egemoniche altrui, invitando a disinnescarle anziché spendersi in sciacallaggi che eccitano attitudini infine autolesionistiche. L’Europa recuperi, se non altro dall’esperienza storica, la coincidenza tra i suoi interessi geopolitici alla distensione e l’interesse delle nazioni tutte alla pace e alla cooperazione in regime di reciprocità.

Giuseppe Casale*

*Scienze della Pace – Pontificia Università Lateranense

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Fonte: Sir