Coronavirus in Corea. Kim Jong-Un scrive al presidente Moon. Il vescovo You: “Piccola luce nella emergenza”
In mezzo al contagio, esistono sparse nel mondo piccole luci di speranza. Tra queste la lettera che il leader nordcoreano Kim Jong-Un ha inviato al presidente sudcoreano Moon Jae-in per esprimere solidarietà e vicinanza. Nessuno sa se il Coronavirus è arrivato anche a Pyongyang. Ci sono elementi che lo fanno capire. Preoccupazione per la chiusura con il confine cinese che potrebbe causare in Corea del Nord una emergenza-fame tra la popolazione
“Una piccola luce” in un momento di grande difficoltà e preoccupazione. Così mons. Lazzaro You Heung-sik, vescovo di Daejeon e presidente della Commissione per gli Affari sociali della Conferenza episcopale di Corea (Cbck) definisce la lettera che il leader supremo della Corea del Nord, Kim Jong-Un, ha inviato una lettera al collega del sud, il presidente Moon Jae-in, augurandogli che il suo Paese possa superare presto l’allarme coronavirus ed esprimendo preoccupazione anche per lo stato di salute del destinatario della missiva.
“Sono contentissimo. È una notizia importante che arriva in un momento critico per il nostro Paese. Questo coronavirus sta facendo tanto male”, dice al telefono il vescovo. La Corea del Sud fa parte insieme a Italia, Iran, Giappone e, ovviamente, Cina, delle zone cosiddette “rosse” del mondo a causa dell’estensione del contagio. Secondo l’ultimissimo bollettino di venerdì 6 marzo,
il Paese ha registrato 196 nuovi casi di coronavirus, per un totale di infezioni salito a 6.284. I decessi sono saliti a 42.
In questo contesto, la lettera di Kim Jong-Un appare – dice il vescovo di Daejeon – come “un segno di dialogo, quasi una dichiarazione di intenti affinché i due Paesi superino insieme questa malattia”. Se però la Corea del Sud è totalmente “trasparente” nel riferire i numeri dei contagi e l’estensione del virus, “di quanto la malattia sia diffusa nel Nord, non sappiamo ufficialmente niente”. Ci sono però degli elementi che fanno presupporre che il virus sia arrivato anche lì, a Pyongyang, come la richiesta da parte del partito di evitare gli assembramenti numerosi, le mascherine (made in Corea del Sud) indossate dai dirigenti nelle immagini tv che arrivano dal Nord, senza considerare poi i rapporti strettissimi tra la Corea del Nord e la Cina. A questo proposito, mons. You confida: “Siamo molto preoccupati. Dalla Cina, arrivano molti prodotti alimentari in Corea del Nord. Se a causa del virus, questo scambio viene proibito,
le conseguenze sulla popolazione possono essere gravissime e generare una vera e propria emergenza di fame”.
Per questo, la missiva di Kim Jong-Un apre uno spiraglio “a lavorare insieme, affinché uniti possiamo superare anche questa prova. Il Signore è buono e misericordioso. È Padre onnipotente. Se Lui permette questa malattia, così grave, diffusa in tutto il mondo, dobbiamo chiederci:cosa Dio vuole da noi? Cosa sta chiedendo all’umanità?”.
La lettera del leader nordcoreano non è l’unico segnale positivo. Il vescovo ravvede una luce anche per quanto è accaduto rispetto alla “Shincheonji Church of Jesus”, la setta religiosa pseudo-cristiana identificata e riconducibile a uno dei due focolai che ha diffuso in Corea del Sud il virus. “Si tratta di una setta che ha fatto molto male, soprattutto tra i giovani”, dice mons. You. Sono infatti molto discutibili i metodi usati, sia per l’aggressività del linguaggio che per la segretezza dei luoghi di incontro e sui suoi seguaci. Le autorità avrebbero cercato i seguaci per testarli, ma le liste (per volontà del leader) sarebbero rimaste segrete fino a pochi giorni fa. “Una realtà pericolosa”, dice il vescovo. “Ora con questo contagio, il popolo coreano ha potuto verificare di persona chi sono realmente i seguaci e a cosa mira questa setta”.
Tutte le 16 diocesi coreane hanno sospeso le messe per due o tre settimane. È la prima volta nella storia che accade una cosa simile. Alla preghiera, si unisce anche la solidarietà. Nei giorni scorsi la diocesi di Daejeon ha lanciato un’iniziativa in favore del popolo cinese. I fedeli – racconta il vescovo – hanno raccolto circa 30mila dollari americani in mascherine, altri indumenti protettivi e prodotti per l’igiene da inviare in Cina.