Coronavirus: 116 positivi in Sudafrica, chiusure e divieti. Una psicologa italiana: “Effetti potrebbero essere devastanti”
Anche il Sudafrica ha fatto scattare il 16 marzo le misure di prevenzione e sicurezza per contenere il contagio da Covid-19. Il paziente zero è risultato positivo dopo un viaggio in Italia. I numeri sono ancora contenuti perché i tamponi vengono effettuati solo per casi a rischio, ma cresce la paura che il contagio possa diffondersi in maniera sotterranea, soprattutto nelle township
Sono finora 116 i casi accertati positivi al Coronavirus in Sudafrica. Il paziente zero è risultato un uomo sudafricano di 38 anni, di ritorno nei primi di marzo da un viaggio in Italia. Domenica 16 marzo il presidente Cyril Ramaphosa ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale: le scuole e le università sono chiuse da ieri. Chiusi anche 35 porti, bloccati i voli e i visti dai Paesi ad alto rischio. Tutti i viaggiatori passati attraverso questi Paesi vengono sottoposti ai test. Ai sudafricani viene sconsigliato di viaggiare verso Italia, Cina, Iran, Usa, Spagna ed altri Paesi a rischio. Sono proibiti gli assembramenti di oltre 100 persone e la gran parte degli eventi pubblici sono stati annullati. Sono state predisposte strutture per l’isolamento e la quarantena in tutti i distretti ed è stata avviata una campagna di comunicazione di massa per ricordare le misure di prevenzione, tra cui lavarsi le mani. Il Dipartimento per la salute ha invitato tutti ad aggiungere un numero telefonico governativo dal quale saranno inviate informazioni sul Covid-19 via Whatsapp.
Preoccupazione per il Sudafrica. “Sono molto preoccupata per il Sudafrica e l’Africa tutta”, racconta al Sir Michela Balbi, genovese che vive a Johannesburg da anni. Lavora come psicologa delle organizzazioni in una Ong locale che si occupa di centinaia di bambini con disabilità molto gravi, in contesti di grande povertà e deprivazione. Anche il suo lavoro in sede si è interrotto, per evitare rischi ai bambini, dalla salute già molto compromessa. Tanti hanno gravi problemi a livello polmonare. Ora ha proposto alla Ong di lavorare con i manager con consulenze via Skype.
Tamponi solo se casi a rischio. “Come era prevedibile il virus è arrivato – dice da Johannesburg – e i casi stanno crescendo. In realtà non sono ancora così numerosi perché il protocollo prevede che se arrivi in ospedale con tutti i sintomi e non hai viaggiato in Paesi a rischio, o non sei stato in contatto con una persona risultata positiva, il tampone non viene eseguito”. In una nota azienda italiana con succursale in Sudafrica, ad esempio,
“ tante persone hanno i sintomi e ora sono a casa ma non hanno avuto modo di fare il test”.
L’effetto potrebbe essere devastante. La sua principale preoccupazione è che il contagio si diffonda rapidamente in maniera sotterranea, perché milioni di persone – principalmente i neri – vivono nelle sovraffollate township, in condizioni igieniche molto precarie. Inoltre, spiega,
“ci sono 2 milioni e mezzo di pazienti con Hiv che non prendono i farmaci antiretrovirali perché non possono permetterseli. Moltissimi malati di tubercolosi. L’effetto della diffusione del coronavirus potrebbe essere devastante, se non lo è già”.
Nelle township si diffonderebbe a macchia d’olio perché non c’è igiene, figuriamoci la distanza. C’è il rischio di vedere queste persone soffrire ancora di più”. Inoltre, nonostante i provvedimenti governativi, precisa,
“in giro per Johannesburg non c’è ancora consapevolezza. A nessuno viene in mente di rispettare le distanze”.
Fino a sabato scorso si organizzavano ancora feste, “poi dopo aver ascoltato il presidente si sono ricreduti. Nei supermercati si cerca di distanziare le persone ma è uno sforzo vano. Solo gli scaffali dei disinfettanti sono vuoti. Purtroppo qui non ci sono mascherine nelle farmacie e non c’è speranza che arrivino. Spero vivamente che negli ospedali ci siano”. Come italiana, ascoltando le storie di amici e parenti a casa, sta cercando “faticosamente di sensibilizzare le persone, almeno a rispettare le distanze di sicurezza”.