Commissione Banche e rischio statalismo: il controllo politico può minare l'indipendenza delle banche
La legge istitutiva prevede che la Commissione possa “analizzare la gestione degli enti creditizi e delle imprese di investimento”. Un'espressione che sorprende per la sua ampiezza e genericità. Sulla base di essa, infatti, si potrebbe prefigurare una sorta di controllo politico sulle attività ordinarie di banche che svolgono semplicemente il loro lavoro
Le banche non godono di una grande popolarità. E rappresentano quindi un bersaglio perfetto per una politica che, da una campagna elettorale all’altra, sembra avere costantemente bisogno di un nemico contro cui attivare e alimentare il “rancore” (per dirla con il Censis) dell’opinione pubblica. Per questo l’istituzione di una “Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario” è un fatto che non riguarda soltanto gli addetti ai lavori e va analizzato e valutato con grande cautela.
Non è un caso che il Presidente della Repubblica, promulgando la legge istitutiva, abbia inviato una lettera ai presidenti delle Camere per invitarli a vigilare sul percorso dell’organismo “affinché sia assicurato il rispetto dei limiti derivanti dalla Costituzione e dall’ordinamento dell’Unione Europea nonché il rispetto dei diversi ruoli e responsabilità”.
Alzi la mano che non si sia mai trovato, a torto o a ragione, a parlar male delle banche. Ma qui non è in discussione, ovviamente, il diritto di critica da parte dei cittadini e dei soggetti politici e sociali. Il rischio da evitare è piuttosto quello di una delegittimazione del sistema bancario come tale. Per un Paese con la situazione economica e finanziaria dell’Italia sarebbe particolarmente devastante, sia per la tenuta interna – il risparmio e il credito ne sono componenti essenziali – sia per le ripercussioni internazionali. Ecco perché il Capo dello Stato si è sentito in dovere di muoversi. In un certo senso è una questione di sicurezza nazionale.
Tra i profili su cui Mattarella ha richiamato l’attenzione ci sono la riservatezza sulle informazioni raccolte, da assicurare con il massimo rigore, e la necessità di non interferire con l’operato delle istituzioni di vigilanza (come la Banca d’Italia) e della magistratura. C’è però un aspetto di fondo che caratterizza questo passaggio istituzionale in confronto ai precedenti. L’ambito dei compiti della nuova Commissione, a differenza di quella istituita nella scorsa legislatura, non riguarda “l’accertamento di vicende e comportamenti che hanno provocato crisi di istituti bancari”, cioè le patologie del sistema, ma concerne il “sistema bancario e finanziario nella sua interezza” e “tutte le banche, anche quelle non coinvolte nella crisi e che svolgono con regolarità la propria attività”, come sottolinea Mattarella nella lettera. Non solo. La legge istitutiva prevede che la Commissione possa “analizzare la gestione degli enti creditizi e delle imprese di investimento”.
Un’espressione che sorprende per la sua ampiezza e genericità. Sulla base di essa, infatti, si potrebbe prefigurare una sorta di controllo politico sulle attività ordinarie di banche che svolgono semplicemente il loro lavoro (e indirettamente anche su coloro che alle banche si rivolgono). Alla faccia della libertà d’iniziativa economica sancita dall’art. 41 della Costituzione. È la tentazione statalista – quasi un risvolto interno del tanto declamato “sovranismo” – che si riaffaccia per l’ennesima volta in questa stagione politica.