Burkina Faso. Il card. Ouédraogo: “Comunità religiose nel mirino dei terroristi, li combattiamo con il dialogo”
Solo qualche giorno fa 36 persone sono state uccise in un mercato durante un attacco, ieri altre 30 nella provincia di Soum. L'arcivescovo di Ouagadougou al Sir: "Con i leader delle altre confessioni abbiamo portato all'autorità morale del Paese un messaggio di unità. Avviata in diocesi una catena di preghiera per la pace nel Paese. Ma abbiamo bisogno anche della solidarietà internazionale. Dal Papa abbiamo ricevuto una donazione per la nostra popolazione che soffre"
Padre Antonio César Fernández, missionario salesiano, ucciso il 15 febbraio 2019 da un commando di terroristi. È stato raggiunto da tre colpi di pistola mentre ritornava nella sua comunità, a Ouagadougou, nella Capitale del Burkina Faso. Padre Joël Yougbaré, della Società per le Missioni africane, rapito nella provincia amministrativa di Soum, nel nord del Paese, un mese dopo. Il sacerdote si era recato, per celebrare messa, nel villaggio di Bottogui. È stato rapito e da allora non si sono avute più sue notizie. Abbé Siméon Yampa, 34 anni, ucciso, il 12 maggio 2019, mentre celebrava messa a Bablo, altro villaggio settentrionale, da un gruppo di jihadisti assieme a cinque fedeli. Il card. Philippe Ouédraogo, arcivescovo di Ouagadougou e presidente del Simposio delle conferenze episcopali di Africa e Madagascar, ricorda uno per uno i nomi dei sacerdoti assassinati in Burkina Faso dai terroristi, che hanno causato “dal 2015 oltre 800 morti e 600mila migranti”, dice al Sir. Solo qualche giorno fa 36 persone sono state uccise in un mercato durante un attacco, ieri altre 30 nella provincia di Soum.
“Per fronteggiare questa violenza, noi tutti leader delle diverse confessioni abbiamo avviato un percorso di dialogo interreligioso. Ma non si tratta solo di un fenomeno di odio che si verifica per motivi religiosi”.
Il comune denominatore degli attacchi è la provenienza dei terroristi che si professano islamici: effettuano incursioni nelle regioni settentrionali del Paese, Sahel in primis, giungendo dal Mali o dal Niger.
Perché si verificano questi attacchi?
È difficile da dire. Ci sono in ballo aspetti politici, economici. E poi ci sono nemici che vengono da altri Paesi per imporre la loro logica. Chi sono gli autori di questi attacchi? Ci sono legami con altri che vivono al di fuori del Burkina Faso, nel Mali, nel Niger? Da dove vengono le armi? Noi non abbiamo fabbriche di armi.
Chi c’è nel mirino dei terroristi?
Non solo i cristiani. Ci sono cattolici uccisi durante la celebrazione domenicale, ma anche protestanti vittime di attacchi terroristici. Un pastore dei fratelli protestanti è stato ucciso in un altro attacco simile. Così come i musulmani. E questo è strano. In un villaggio sono stati uccisi 18 musulmani durante la loro preghiera, il venerdì. Le violenze dei terroristi colpiscono soprattutto le comunità religiose.
Come sta seguendo il Papa questa situazione?
Due o tre volte, durante l’udienza del mercoledì e all’Angelus, Papa Francesco ha chiesto di pregare per il Burkina Faso, che vive una condizione di sofferenza a causa di queste tragedie causate della violenza terroristica.
Abbiamo scritto al Papa nei mesi scorsi e poi lui ha risposto anche con un gesto di solidarietà. Ha fatto una donazione per la nostra popolazione che soffre. Questa solidarietà del Santo Padre dovrebbe essere la solidarietà di tutto il popolo di Dio e degli Stati.
Quali aiuti state ricevendo?
Ci stanno aiutando le Caritas di diversi Paesi. Ne abbiamo bisogno. Sia a livello regionale che internazionale. Per noi credenti la pace è un dono di Dio, ma anche il risultato dell’azione degli uomini. Dobbiamo pregare. Nella mia diocesi abbiamo deciso di organizzare una catena di preghiera per tutto l’anno.
Abbiamo iniziato la prima settimana di Avvento e continueremo fino alla festa di Cristo Re. Potete anche voi aiutarci nella preghiera. Perché la pace è un dono di Dio. Poi, è anche un fatto umano. Le organizzazioni caritative europee e dell’Africa sono intervenute per aiutare, in particolare, le famiglie delle vittime degli attacchi terroristici.
Perché c’è ancora bisogno di solidarietà?
L’intensità delle violenze e degli attacchi ha causato l’emigrazione di tante persone. In alcuni casi i villaggi sono stati distrutti, in altri la terra non può più essere coltivata adesso con la stagione di pioggia. Così tante persone hanno bisogno di aiuti. Oltre duemila scuole primarie e secondarie sono state chiuse. Le donne i bambini sono le prime vittime di questi attacchi.
Noi abbiamo organizzato una giornata per sensibilizzare la popolazione ad aiutare le vittime di questi attacchi terroristici. Il mondo intero è un villaggio globale. E le sofferenze di alcuni dovrebbero essere le sofferenze di tutti. Noi abbiamo anche bisogno della solidarietà dei popoli per salvaguardare la pace nel nostro Paese.
Quali altre iniziative avete sviluppato contro questi attacchi?
Quindici giorni fa noi, capi delle varie confessioni religiose – capi della religione tradizionale, musulmani, protestanti e cattolici -, ci siamo radunati dal Mogho Naba (l’autorità morale del Paese, ndr), nella Capitale, in occasione dello scambio di auguri per il nuovo anno. E lì abbiamo portato un messaggio per incoraggiare tutti all’unità per affrontare questa situazione drammatica. La nostra è una società tollerante e con diverse confessioni religiose che coesistono e vivono insieme pacificamente, al di là delle differenze di opinioni. Ma adesso abbiamo conosciuto gli attacchi delle forze del male. In quanto leader religiosi lavoriamo assieme per accompagnare la popolazione verso la tolleranza e il perdono. Per ritrovare una vita di pace, la nostra linea pastorale è quella del dialogo interreligioso.