Bandiera e bandierine
Con più partiti ci sono più bandierine da piantare e su ogni dossier aperto le capacità di mediazione del premier Conte sono messe a dura prova.
Quando era al governo la maggioranza giallo-verde, fondata su un “contratto” in cui le istanze programmatiche del M5S e quelle della Lega erano state giustapposte senza una sintesi, era molto problematico individuare con precisione quale fosse la politica dell’esecutivo in quanto tale. Ciascun partito portava avanti le proprie proposte e l’altro, magari con qualche correttivo, le appoggiava in Parlamento, talvolta senza condividerle nel merito. L’importante era poter piantare le proprie bandierine di fronte ai rispettivi elettorati. E’ stato il caso, per esempio, del blocco della prescrizione, voluto a tutti i costi dai Cinquestelle e accettato pur con forti riserve dalla Lega. Con il paradosso che quel provvedimento, divenuto legge con i voti di entrambi i partiti, adesso è un problema serio per il nuovo esecutivo.
C’è un’immagine che sintetizza meglio di ogni discorso la politica delle bandierine. E’ la foto della conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri in cui, nel gennaio dello scorso anno, sono stati varati il reddito di cittadinanza e quota 100, vale a dire i principali cavalli di battaglia elettorali del M5S e della Lega. In quello scatto emblematico si vedono Conte e Di Maio che mostrano un cartello con indicate entrambe le misure, mentre in quello esibito da Salvini compare soltanto quota 100.
La politica delle bandierine, purtroppo, si sta ripresentando nell’esperienza della maggioranza giallo-rossa. Rispetto a quella precedente è meno plateale lo sdoppiamento programmatico, che spesso dava l’impressione dell’esistenza di due governi di fatto. Allo stesso tempo, però, oggi il quadro è reso ancor più complicato dal carattere composito della coalizione. Con più partiti ci sono più bandierine da piantare e su ogni dossier aperto le capacità di mediazione del premier Conte sono messe a dura prova. Su ogni questione sembra che si rimetta in discussione tutto e se alla fine una soluzione viene trovata, il governo non riesce a imprimere una rotta chiara alla sua azione. Si naviga a vista, di scoglio in scoglio. All’esecutivo si può concedere l’attenuante di essere nato in una situazione emergenziale e di non aver ancora compiuto i sei mesi di vita. Ma l’ambizione a durare, che pure va incontro a un’esigenza reale di stabilità per il Paese, dev’essere quanto prima riempita di contenuti. Se non un progetto vero e proprio, serve almeno una direzione di marcia condivisa. Non ci si può limitare a rincorrere i problemi.
Dietro la politica delle bandierine, tuttavia, c’è anche un equivoco di fondo sul rapporto tra elettori e partiti che rischia di avvelenare la prassi democratica. L’enfasi posta sulle promesse da mantenere, a prescindere dal fatto che tali promesse siano realistiche e soprattutto corrispondano all’interesse generale del Paese, ha finito per ingenerare una sorta di “voto di scambio” collettivo. Non è questa la visione della nostra Costituzione, secondo cui “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49). La rappresentanza di interessi settoriali e di singole istanze tematiche è ovviamente legittima, ma c’è una “politica nazionale” che li supera e a cui tutti devono “concorrere”. Non a caso, la Costituzione afferma anche che “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” (art.67). Rappresenta la Nazione, non un partito e neanche gli elettori di quel partito. La Bandiera, non le bandierine.