16 ottobre del 1943. La storia di Attilio Lattes: “Il bambino nascosto nelle fogne di Roma”
Il 16 ottobre del 1943, Roma scrisse una delle pagine più tristi della sua storia. La deportazione degli ebrei che dalla stazione Tiburtina arrivarono al campo di concentramento di Auschwitz in territorio polacco. Partirono in 1.024 persone. Tornarono in 15. In quella storia c’era anche la famiglia di Attilio Lattes che riuscì a salvarsi nascondendosi sotto le fogne della città. Ci furono i “mostri” ma anche tante persone che in quella oscurità, li aiutarono a fuggire e a nascondersi. Oggi confida: “Non bisogna essere eroi per essere giusti. C’è bisogno di umanità”
“Ho solo i ricordi di mio padre perché mia madre è morta senza avermi mai raccontato nulla. Mio padre invece è riuscito a dirmi tutto ma solo tre settimane prima di morire, perché chi visse quella tragedia, ha poi avuto problemi a tornare indietro con la memoria. In quei minuti, quelle ore, quei giorni, quei mesi, la paura è entrata dentro ed ha segnato per sempre la nostra vita”. Attilio Lattes oggi ha 79 anni. C’era anche la sua famiglia quel 16 di ottobre del 1943, durante il rastrellamento degli ebrei a Roma. Lui era piccolino. Sono riusciti a salvarsi rifugiandosi nelle fogne di Roma. “Siamo stati lì circa due ore”, racconta al Sir, “percorrendo il tragitto che va dall’angolo di viale Angelico con viale Mazzini, fino a piazza Clodio, sotto Monte Mario che all’epoca era una foresta molto fitta dove ci si poteva nascondere”. Furono guidati da un uomo che non sono mai riusciti a rintracciare. “Ci fece entrare dentro una botola. Ricordo che era sabato, che pioveva e faceva freddo. Siamo rimasti lì tutto il giorno e tutta la notte. Si sentivano chiaramente sopra di noi il passaggio delle camionette che facevano la ronda alla ricerca degli ebrei, per deportarli”.
Il 16 ottobre del 1943, Roma scrisse una delle pagine più tristi della sua storia. Alle 5.15 del mattino le SS invasero le strade del Portico d’Ottavia e rastrellarono 1.024 persone, tra cui oltre 200 bambini. Due giorni dopo, diciotto vagoni partiranno dalla stazione Tiburtina. Destinazione: il campo di concentramento di Auschwitz in territorio polacco. Solo quindici uomini e una donna ritorneranno a casa dalla Polonia. Nessuno dei duecento bambini ha mai fatto ritorno. “I ricordi – racconta Attilio Lattes – si mescolano tra i racconti di mio padre e le scene vissute personalmente. Ricordo perfettamente il giorno in cui una ronda fascista mi ha fatto tirar giù i pantaloni. Gli ebrei non potevano sedersi sulle panchine dei giardini pubblici. Stavamo in piazza Mazzini, giocavo e ad un certo momento mi sono seduto con mia mamma accanto a me. All’improvviso si è materializzata una ronda ed hanno chiesto i documenti a mamma. All’epoca, per nascondere la nostra identità, non ci chiamavamo Lattes ma Lattanzi e come molti ebrei, avevamo i documenti falsi.
Visti i documenti, fanno per andarsene, quando all’improvviso tornarono indietro e mi chiesero di tirare giù i pantaloni. Si accorsero che ero circonciso. Mamma, a quel punto, tirò fuori un certificato del Policlinico Umberto I che attestava l’operazione fatta per ragioni sanitarie. E così ci hanno lasciato andare”.
La famiglia Lattes si salvò perché ci furono persone che la aiutarono a nascondere e fuggire. “Si può essere giusti anche oggi”, dice subito Attilio. “Anche oggi, ci sono persone che fuggono, da situazioni di guerra e di fame, mettendo a rischio la loro stessa vita. E anche oggi, ci sono persone che si adoperano per aiutarle.
No, non bisogna essere eroi per essere giusti. C’è bisogno di umanità”.
L’attacco alla sede della Cgil a Roma e i “rigurgiti” della storia. “Che posso dire? Indignazione? No, è troppo poco”, risponde Attilio alla domanda sui cortei di Roma e il ritorno dei fascismi. “Dico semplicemente che questa gente c’è e ci sarà sempre. Gente che insulta in maniera pesante, gente che nega quanto è avvenuto nella storia recente anche del nostro Paese. Mi sono capitati episodi spiacevolissimi. Era il 28 gennaio ed era appena passato il Giorno della Memoria. Mi trovavo su un autobus e una signora rivolgendosi ai suoi alunni, disse ad alta voce: ‘meno male che siamo arrivati al 28 gennaio. È una settimana che ci ammorbano con documentari e film sulla Shoah. Bisogna poi vedere se è tutto vero, compreso quei numeri tatuati sul braccio’. Mi voltai e le dissi che se fossi stato un pubblico ufficiale, l’avrei potuta anche arrestare”.
Da anni Attilio Lattes fa la guida al museo della Shoah di Roma e gira per le scuole e i comuni d’Italia. Li conosce bene i ragazzi, dalle elementari ai licei. Con il passare del tempo, i testimoni diretti della Shoah stanno diventando sempre meno. E lui – dice – è preoccupato perché anche se i sopravvissuti stanno lasciando il testimone della memoria ai figli, “non è la stessa cosa”. La sua storia è raccontata ora in un libro “Il bambino nascosto a Roma” che sarà presentato il 2 dicembre al Pitigliani Centro Ebraico Italiano. Ai ragazzi di oggi chiede di studiare la storia della Seconda guerra mondiale e della Shoah: “la storia si ripete perché l’odio è un cancro che non si estirperà mai”. Ai politici, affida invece un compito importante: “parlate con realismo e pronunciate parole che siano sempre nel rispetto dell’altro.
Abbiate il coraggio della condanna. Non voltate la faccia, non dite le cose a metà. La condanna deve essere ferma, importante, decisa”.