Una nuova missione. Sorella nostra Etiopia ci apriamo a te
Mercoledì 6 giugno alle ore 11 in Collegio sacro di palazzo vescovile a Padova verrà annunciata l'apertura della missione padovana in Etiopia, nella prefettura apostolica di Robe. Interverranno il vescovo mons. Claudio Cipolla e don Gaetano Borgo, direttore dell’Ufficio diocesano di pastorale della missione
La Diocesi di Padova va in Etiopia: l’annuncio verrà dato dal vescovo Claudio mercoledì 6 giugno. «È lo Spirito che ancora una volta ci chiama ad andare, non ci lascia restare in una situazione, in un territorio, per quante cose belle abbiamo fatto e costruito, e ci spinge a riscoprire la dimensione del nuovo, della primavera»: così don Gaetano Borgo, direttore dell’ufficio diocesano di pastorale della missione, spiega l’invio dei fidei donum padovani nel Corno d’Africa.
«L’Etiopia va letta così: non possiamo sentirci a posto perché abbiamo costruito grandi e belle cose nelle missioni, perché abbiamo riportato in diocesi una ricchezza immensa; non possiamo fermarci. L’Angelo, nell’Ascensione, dice ai discepoli: ma cosa state ancora qui a guardare? Il bello deve ancora venire! Il bello è affrontare la novità, come abbiamo fatto l’anno scorso con l’apertura a Roraima, missione brasiliana completamente diversa da Duque de Caxias, a cinquemila chilometri di distanza, un altro Brasile, il cambio dalla notte al giorno. Quando Gesù dice a Pietro di prendere il largo e di tornare a pescare, Pietro risponde: abbiamo pescato tutta la notte, abbiamo già fatto tanto. Invece Cristo lo spinge a riprendere la strada del “Vieni e seguimi”, a riprendere una nuova pista di missione che fa maturare anche nuovi stili, nuove potenzialità. Roraima significa Amazzonia, significa Laudato si', come l’Etiopia significa prima evangelizzazione, dialogo con l’Islam... In entrambi i casi una lettura del territorio, che fa bene anche a noi, nella ricchezza immediata del rientro. Oggi il fidei donum non è più quello di quarant’anni fa, della lettera scritta; oggi ha la possibilità di essere uno che rientra ogni giorno, che ogni sera è già a casa, posta una foto, un commento, un incontro, ha dei followers, una comunità che vive in contemporanea con lui. La multimedialità fa vivere a 360 gradi il Vangelo regno di Dio, là e qui».
Un anno fa, il 12 maggio 2017, dopo un discernimento di due-tre anni il consiglio presbiterale ha dichiarato al vescovo che la diocesi era pronta per una nuova missione. Una missione in Etiopia nata dalla richiesta della prefettura di Robe e dal prefetto padre Angelo Antolini che chiede a Padova di cooperare, di accompagnare le sue comunità a crescere nell’annuncio del Vangelo, un Vangelo di carità, di attenzione, di giustizia, un Vangelo del dare, per far vedere la bellezza e l’unità della Chiesa. Una richiesta di cooperazione che promette in cambio tanta ricchezza, come quella che ostentavano i vescovi dell’Africa durante il Vaticano II: «Noi siamo ricchi della nostra povertà». Povertà che insegna, scardina, a volte turba, povertà da sollevare, a volte anche da abbracciare e soprattutto da condividere. Lo stesso nome di “prefettura”, al posto di diocesi, significa che la Chiesa di Robe, nata nel 2012, è ancora embrionale, un piccolo virgulto che sta nascendo, che ha bisogno di cura, di compagnia, di custodia.
Accanto al vescovo locale, anche Propaganda fide, il dicastero per l’evangelizzazione dei popoli della Santa Sede, ha voluto chiedere alla nostra diocesi di accompagnare questa Chiesa che sta nascendo; una lettera che è segno di stima verso la chiesa padovana, un plauso alla sua storia di quasi settant’anni di missionarietà: dunque il ripartire per questa nuova missione significa mettere a frutto ciò che è stato visto e imparato, custodito e dato. «Nella bellezza di queste nuove richieste – aggiunge don Borgo – c’è anche la gioia della riconsegna, l’onore di riconsegnare alle chiese con cui nel tempo abbiamo stretto un’alleanza, riconoscendo la loro crescita nel clero, nei laici, nel popolo di Dio; quasi come un padre che riconosce al figlio il suo essere adulto. Il 2 settembre si riconsegnano le parrocchie e tutta la missione fatta assieme alla Diocesi di Duque de Caxias, in Brasile, iniziata nel 1981, staccata dalla grande diocesi di Petropolis con cui la condivisione di Padova è iniziata negli anni Sessanta. Dal 2011 lo stesso si sta facendo in Kenya, una riconsegna graduale che avverrà parallelamente alla crescita della chiesa in Etiopia, che è la lode più bella per aver fatto crescere, a partire da fine anni Cinquanta, la Chiesa di Nyahururu».
Per ora la prefettura di Robe è, come si diceva, in una fase embrionale: ci sono una mezza dozzina di comunità di riferimento, sparse su un territorio grande come l’Italia Settentrionale. Padova manderà tre fidei donum: don Nicola De Guio, parroco moderatore dell’unità pastorale di Canove, con esperienza missionaria in Ecuador; don Stefano Ferraretto, assistente in Seminario maggiore; Elisabetta Corrà, laica di Asiago, laureata in Teologia.
In autunno andranno a imparare l’inglese in Scozia; a metà gennaio partiranno per l’Etiopia, dove seguiranno un corso di tre mesi di lingua oromo ad Addis Abeba; quindi, tra marzo e aprile, arriveranno nella zona pastorale di Kokossa, capoluogo di una provincia del West Arsi, 3.500 abitanti, perlopiù pastori che stanno fermando la loro transumanza imparando a coltivare la terra, una quarantina di battezzati e una trentina di catecumeni, una cappella, una casa di poche stanze. Il loro compito sarà quello di sviluppare la comunità. È una parrocchia embrionale, che parte dallo stile dell’incarnazione, del vivere insieme. Non si comincerà con grandi progetti e tantomeno con grandi opere, ma con il vivere, il condividere, il celebrare, lo spezzare lo stesso pane. Dopodichè, man mano che si andrà avanti, si vedranno le necessità, le esigenze determinate dalle gravi povertà della zona. A 200 chilometri c’è la presenza del Cuamm. A una novantina di chilometri, a Kofale, risiede da quasi tre anni anche il vescovo emerito mons. Mattiazzo, che offrirà ai nuovi arrivati la sua conoscenza della lingua e della gente, il suo pensiero missionario.
I tre padovani sono già stati a vedere, per un breve soggiorno, il luogo in cui opereranno. Don Nicola De Guio ne ha riportato l’impressione di una Chiesa pronta a condividere una fede e un annuncio, e sente insieme l’impegno di affrontare con apertura e con umiltà una cultura, una tradizione, una lingua diverse, tutte da scoprire, da condividere. «L’esperienza della missionarietà significa dare spazio al desiderio di dono, il dono della Parola, ma soprattutto della testimonianza, senza alcuna pretesa se non quella di vivere il Vangelo e di annunciarlo, secondo le indicazioni dell’Evangelii Nuntiandi, interiorizzate in uno stile preciso». Don Ferraretto sottolinea la novità di offrire il primo annuncio del Vangelo a questa gente semplice e accogliente, desiderosa di accoglienza: «Siamo ospiti, a disposizione della Chiesa locale. È un po’ come vivere gli Atti degli apostoli, che vedevano nascere e crescere le prime, piccole comunità di battezzati». Elisabetta Corrà sottolinea la voglia di mettersi in discussione a contatto con una diversa sensibilità, con uno stile di vita povero, con la condivisione quotidiana delle loro storie, delle loro vite. Il fatto di essere laica e donna le pare un valore aggiunto: «Potrò dare testimonianza di una persona come loro, che si mette in gioco per la sua fede, e di una donna in dialogo con altre donne».