Preghiera eucaristica, l'anafora è il più "sinodale" degli atti. Più alta e vera forma di partecipazione
Non esiste qualcosa di analogo alla preghiera eucaristica, capace di rendere una prassi verbale-rituale interpretata da una singola persona il più “sinodale” degli atti. Nulla come l’anafora, cuore di ogni messa, muove in unum l’agire della Chiesa intera.
Non solo il popolo santo di Dio, o i ministri ordinati, ma persino la Chiesa celeste. Lo diciamo nel prefazio, ogni volta che facciamo eucaristia: gli Angeli e gli Arcangeli, i Troni e le Dominazioni, i Cherubini e i Serafini cantano un inno immenso – e noi, senza alcun merito, uniamo la nostra voce a questo coro, i cui membri, come le schiere di un esercito, quasi falange di spartani, si compattano attorno al tre volte Santo e, giorno e notte, con canti che non hanno fine, con teologie ineffabili, difendono, con spade che non uccidono, con scudi che non presuppongono ferita, il trono della maestà divina. Insieme a loro, diciamo: «Kadosh Kadosh Kadosh Adonai Tz’vaot» – Santo Santo Santo è il Signore, Dio degli eserciti – ribadendo la meravigliosa giustizia che è rendere grazie perché il Figlio ha steso le braccia sulla croce, dopo essersi incarnato nel grembo della Vergine Maria, e ha riconciliato il cielo e la terra, e ha effuso lo Spirito Santo. L’unica voce recitante che celebra la sinfonia dell’anafora è persona Ecclesiae: è l’intera Chiesa, della terra e del cielo. In quell’unum si dà la più alta e vera forma di partecipazione. Ciò non richiede semplicemente che venga curata una buona declamazione del testo (sarebbe cadere nella trappola di un’ars celebrandi à la page...). Nelle parole del canone deve palpitare, rendersi percepibile la sovrabbondanza di tutto l’agire ecclesiale - e questo può avvenire se si innesca una dynamis tra la sua sapienza e il suo farsi, tra il logos e l’ergon, tra memoria, invocazione e interpretazione.
don Gianandrea Di Donna
Direttore Ufficio Diocesano per la Liturgia