Padre Ezechiele Ramin. La sua semina continua: lunedì 24 luglio una messa nell'anniversario a san Giuseppe
Padre Ezechiele Ramin Lunedì 24, anniversario della sua uccisione, viene celebrata una messa a San Giuseppe in Padova, la sua parrocchia (alle 19)
Nell’ottobre 2019, dichiarato Mese missionario speciale, tra i 25 testimoni scelti – Francesco Saverio, Teresa di Lisieux, Francesco d’Assisi... – veniva inserito anche il Servo di Dio, padre Ezechiele Ramin. Nello stesso mese si celebrava a Roma il Sinodo dei vescovi per l’Amazzonia e 280 vescovi brasiliani avevano chiesto che fosse riconosciuto il martirio di padre Ezechiele, perché considerato figura di riferimento per i lavori sinodali. All’apertura del Sinodo, le immagini di tanti uomini e donne che avevano dato la vita per l’Amazzonia, circondavano papa Francesco. Tra queste l’immagine di padre Ezechiele. La vicenda umana, spirituale e missionaria di padre Ezechiele Ramin – ucciso in Rondonia, Brasile, il 24 luglio 1985 – è facilmente percorribile attraverso alcune sue parole, dette o scritte. Nell’ottobre 1971, a diciotto anni – ora ne avrebbe 70 – intervenendo in una celebrazione durante la Giornata missionaria mondiale, diceva: «Noi oggi, impegnati come uomini e come cristiani, dobbiamo amare, saperci sacrificare, calarci nelle altrui difficoltà, pagare di persona. A giugno abbiamo la spiga di grano, sappiate però che quella spiga è nata perché è morto il seme che l’ha generata». Nel gennaio successivo, scrive a un’amica: «Seguo la strada del missionario, ma questo non perché io abbia scelto Dio, ma perché Dio mi cerca e continuamente mi chiede se lo voglio seguire. Io, Lele, credo a Cristo, non mi può ingannare! Credo alla sua giustizia anche se alle volte non la capisco, mi abbandono tra le sue braccia. Credo inoltre che le proprie convinzioni oggi si paghino con il dovuto; francamente mi sto accorgendo che la testimonianza cristiana si paga di persona». Nel breve periodo di presenza e impegno missionario nell’Amazzonia brasiliana, ottobre 1983-luglio 1985, nei suoi scritti spesso fa riferimento al seme e al seminatore. Nell’agosto del 1984 scrive a una religiosa: «La semente nasce tra pietre che riconosceranno il Signore nella sua potenza. Nulla impedirà alla Parola di poter nascere. Ma intanto sembrano aumentare le difficoltà per chi annuncia. Ciò che patisce la semente lo patisce il seminatore». Nell’omelia durante una messa, nel febbraio 1985, cinque mesi prima di essere ucciso, così si rivolgeva ai fedeli: «Amo molto tutti voi e amo la giustizia. Non approviamo la violenza, malgrado riceviamo violenza. Il padre che vi sta parlando ha ricevuto minacce di morte. Caro fratello, se la mia vita ti appartiene, ti apparterrà pure la mia morte». Questo giovane missionario che nel breve periodo della sua presenza in Brasile si dona fino a versare il sangue, può essere un contributo al Sinodo diocesano di Padova? Rileggo alcuni suoi scritti e ritorno a quel 24 luglio 1985, giorno in cui il seminatore, soffre e muore, come muore il seme. Il fratello Antonio racconta che alla notizia dell’assassinio di Ezechiele, il papà aveva visto lontano: «Alla sua prima parola: “Perdoniamo”, ha aggiunto una frase indelebile per me: “Ezechiele parlerà più da morto che da vivo”. Perché Ezechiele non è nostro, appartiene alla Chiesa, al popolo e alla sua memoria». Qualche giorno dopo, Antonio Possamai, vescovo di Jì-Paranà, durante la celebrazione funebre, alla presenza numerosa e commossa del popolo e davanti alla parola di perdono e di pace della famiglia di Lele, diceva: «Nessuno potrà tenere chiusa la porta del sepolcro. Hanno detto a Cristo “finalmente facciamo tacere in te la voce di un essere importuno”, ma nessuno ha potuto impedire la sua risurrezione. Nessuno fermerà il cammino di questo popolo. La morte è segno di vita. La risurrezione per chi crede è certezza». Il Sinodo chiede una conversione missionaria che si concretizza in comunità e testimoni di fraternità, per essere veramente evangelizzatrice.
Testimonianze
Pur essendo passati 38 anni dalla sua morte, sono ancora tante le testimonianze di chi l’ha conosciuto. Il fratello Antonio ne ha affidate tre alla Difesa, nelle scorse settimane. «Ci ha insegnato a leggere e pregare la Bibbia – racconta un amico, attingendo i ricordi dagli anni 1975-76 – affascinandoci con il suo entusiasmo, in qualche misura radicale; ci ha dato la “cassetta degli attrezzi”, si è confessato con noi, dandoci il segno di quanto credesse nella comunità». «Lele – sottolinea un altro amico – tutte le volte che nella vita sono riuscito a dare il giusto “attrezzo” a qualcuno, ho pensato a te». «Diceva che era sempre tempo di parlare di Gesù e del Vangelo – racconta un’altra amica – ora so che Lele aveva ragione».
padre Gaetano Montresor
Superiore Comboniani Padova