Natale in Etiopia. Nasce il Dio della pace: non sia solo un augurio
Etiopia. Il Natale - che si celebra il 7 gennaio, come nelle Chiese orientali – è segnato dalla guerra civile in corso nel Nord del Paese, che sta creando gravi conseguenze sociali ed economiche. «La Chiesa si pone come segno e partecipa alle difficoltà delle persone»
«Pace in terra agli uomini che egli ama» cantano gli angeli al capitolo 2 del Vangelo di Luca, mentre annunciano ai pastori la nascita di Gesù. Ma questo Natale... non è un Natale di pace per l’Etiopia – dove si celebra il 7 gennaio, come nelle Chiese orientali – terra di missione per la Diocesi di Padova. Nelle regioni del Tigray, di Amara e Afr, nel Nord del Paese è in corso una guerra civile che ha gravi conseguenze sociali ed economiche. E anche le comunità cristiane nel territorio della prefettura di Robe sono state toccate, seppur indirettamente. Don Nicola De Guio, fidei donum della Diocesi di Padova, racconta: «Alcuni nostri parrocchiani sono stati arruolati per rimpolpare numericamente l’esercito. Interi autobus sono stati riempiti di giovani che hanno dovuto interrompere i loro studi, di padri che hanno dovuto abbandonare le famiglie per condurre esercitazioni nei campi militari». L’esercito si sta rinforzando non solo dal punto di vista del personale, ma anche sul fronte economico, aumentando le spese militari. Nella società sono in corso molte collette e altre forme di tassazione per far partecipare tutti allo sforzo bellico: nelle scuole si incoraggiano i bambini a versare anche pochi spiccioli; nelle famiglie gli stipendi vengono decurtati fino a un terzo, anche tra i poveri. Nemmeno le istituzioni – tra queste la piccolissima Chiesa cattolica – sono esentate da queste richieste. «Nella difficile situazione nella quale ci troviamo – spiega don De Guio – noi cerchiamo di essere un segno, una presenza che partecipa nelle difficoltà delle persone che incontriamo».
È una guerra locale, quella in corso in Etiopia, ma con ricadute internazionali, che vede l’influenza sulle fazioni opposte di Cina da una parte e Stati Uniti dall’altra. Una nuova tessera, insomma, di quella “terza guerra mondiale” a pezzi di cui parlava papa Francesco. La Chiesa c’è, e seppur, come è ovvio che sia, non sostiene economicamente le spese militari, ha moltiplicato i suoi interventi umanitari. La missione padovana a Robe, intanto, dopo i primi tempi di “start-up”, sta trovando la sua dimensione ordinaria. Il Sinodo, celebrato anche in Etiopia, nelle comunità servite dai fidei donum di Padova vede un gruppo di oltre 40 persone, provenienti da parrocchie diverse, incontrarsi durante tutto il periodo di Avvento per comprendere quale cammino sta compiendo questa Chiesa nelle sue dinamiche sociali e di fede. L’assemblea sinodale si terrà una settimana prima del Natale. Vi saranno per Robe almeno quattro per comunità.
«Il nostro Sinodo – racconta don Nicola De Guio – è un momento che permette anche alle diverse comunità missionarie presenti nella prefettura di fare il punto insieme. Oltre a noi, infatti, qui operano i missionari di Villaregia e i frati cappuccini. La nostra è una Chiesa povera, chiamata a servire i poveri, una Chiesa missionaria, una Chiesa generosa con i suoi servizi educativi ma che è pronta ad aggiornarsi e a rinnovarsi secondo le modalità della nuova evangelizzazione».
Una Chiesa che è chiamata, con il Natale, a dare l’annuncio di pace dove c’è la guerra: «Per me, il Natale è scoprire che il Signore mi chiama sempre. Non è scontato, specie per il fatto di viverlo in una realtà missionaria, nella quale mi domando quale volto del Signore sto incontrando e sto portando agli altri. Faccio tesoro di quello che vivo e sperimento, e di fronte a ciò anche nella realtà missionaria so di avere molto da imparare e ancora tanto da ricevere».
Un discernimento continuo: «A volte c’è la tentazione di pensare che si stia perdendo del tempo, ma sento che invece la missione mi spinge a prendere in considerazione ciò che capita nella quotidianità. Mi viene in mente il dialogo che ho avuto, facendo la fila alle poste, con un ragazzo protestante a riguardo del vivere l’unità della fede cristiana. E allora penso quanto possiamo fare ancora per camminare insieme, penso al valore del Sinodo, penso che cosa comporta saper ascoltare gli altri e fare tesoro della loro parola».
In queste settimane, nella prefettura apostolica di Robe, una decina di ragazzi che vivono nella casa famiglia dei missionari durante la settimana si spostano nelle comunità per offrire animazione ai bambini sui Vangeli dell’Avvento: il tema scelto è come Dio porta il suo sogno nell’umanità attraverso Maria, Giuseppe e i pastori. È un sogno che nel Natale diventa realtà: «Come cristiani siamo chiamati a dare segni di unità e di umanità. Colui che viene è più grande di noi, ma viene anche nelle realtà più piccole. Gesù, al momento della nascita, per i pastori era un segno, un bambino che è il Signore incarnato in una storia, in un Paese, in un’umanità che è anche la mia». Buon Natale allora anche all’Etiopia: «Possa sentire che c’è un Dio che nasce e che vorrebbe portare la pace anche dove c’è la guerra».
Il conflitto
La guerra civile, in Etiopia, è scoppiata nel novembre 2020 tra il governo centrale – guidato dal primo ministro e premio Nobel per la pace Ahmed – e il Fronte popolare di liberazione del Tigray, gruppo di potere locale che da trent’anni ha la supremazia sull’omonima regione. Ad accendere la miccia del conflitto storiche tensioni etniche e la scelta, da parte del governo centrale, di rinviare le elezioni a causa della pandemia.
Il conflitto rischia di destabilizzare la già precaria situazione ai confini del Paese, provocando la crisi con Eritrea, Sudan e Somalia.