La domenica alle Cucine scalda l’anima. Il racconto dei volontari di ogni età e quello di alcuni ospiti che la domenica si trovano alle Cucine

I pranzi di solidarietà della domenica che una volta si svolgevano nelle parrocchie, ora a causa all'emergenza sanitaria, si sono spostati alle Cucine economiche popolari di via Tommaseo. Qui nato un bel connubio: volontari giovani si mescolano a quelli con più esperienza. L'atmosfera è gioiosa, si lavora, ma non manca la battuta, il sorriso, lo scherzo. Ci si mette alla prova e si dà testimonianza. L'obiettivo però è di far tornare questo servizio nelle parrocchie, presidi territoriali importantissimi, una volta terminata la pandemia.

La domenica alle Cucine scalda l’anima. Il racconto dei volontari di ogni età e quello di alcuni ospiti che la domenica si trovano alle Cucine

Sono le 11.15 di una domenica di dicembre. Fuori c’è il sole: cielo terso, aria frizzantina. In via Tommaseo, alle Cucine popolari, ci si prepara per il pranzo. Via vai di persone, dentro e fuori. Le porte scorrevoli si aprono e si chiudono, passa una persona alla volta, misura la temperatura al termoscanner, consegna un buono allo sportello e viene accolta da due giovani, Tommaso 18 anni studente di Lettere moderne e Giacomo 19, futuro medico. Un sorriso dietro la mascherina che si espande nello sguardo limpido, tipico dell’età. Si passa per una sala addobbata per Natale e s’inizia a percepire il tipico profumo di cibo e il brusio delle mense. Allo sportello altri ragazzi: mascherina, visiera, grembiule. Qui ci sono Francesca 20 anni di San Bartolomeo di Tencarola, studentessa di ingegneria biomedica, e Margherita, sua coetanea di Vigodarzere che studia Relazioni internazionali dei diritti umani. È la loro prima esperienza. Sono dietro un plexiglass che le tutela ulteriormente dal rischio di contagio da Covid. Dall’altra parte arrivano gli ospiti.

Nelle cucine, appena si entra, si percepisce un’atmosfera gioiosa: le voci si confondono, le chiacchiere non mancano, ci si dà da fare per preparare i vassoi. Anna, una signora di 70 anni, della parrocchia di Chiesanuova, sguardo che accoglie, allarga le braccia e dice: «È bellissimo venire qui! C’è una bellissima atmosfera». Ed è proprio così. Dietro allo sportello dove gli ospiti si avvicinano, i volontari lavorano alacremente, ma la battuta, il sorriso, lo scherzo non mancano. «È la prima volta che faccio questa esperienza – continua a raccontare Anna – in parrocchia seguo la sagra e i pranzi del grest. Ho 70 anni, sono “diversamente giovane”, ma è lo spirito che conta, il fisico finché regge va avanti. Ero piuttosto timorosa, però c’era la voglia di mettermi in gioco anche in qui». Il desiderio di provare un’esperienza nuova è una motivazione che ricorre spesso fra i volontari, giovani o meno giovani, arrivati qui tramite l’invito lanciato dalle parrocchie, o leggendo un annuncio sui social o perché “veterani” del servizio domenicale nelle parrocchie di appartenenza. Lo afferma infatti Alice di Limena, che di anni ne ha 27, ed è qui con due amici, Areld e Giulia, 28 e 30 anni, tutti allo sportello.

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Lavorano nella stessa azienda, non fanno parte di nessun gruppo parrocchiale, ma «avevamo voglia di sentirci utili alla comunità e aiutare il prossimo in questo momento di bisogno – afferma Areld – Era una necessità che io e le mie due compagne di avventura sentivamo. Avevamo già fatto volontariato, ma a causa del Covid ci siamo bloccati e avevamo la necessità di “tornare alla vita normale”». Certo, qui non si respira proprio aria di normalità. Gli ospiti delle cucine popolari hanno situazioni di grande fragilità sulle spalle, alcuni se la portano dietro da anni, altri invece si sono ritrovati catapultati in questa vita in men che non si dica, anche a causa dell’emergenza sanitaria.

Salvo, 67 anni e Camel, 55 anni della Tunisia, mangiano insieme, divisi da un plexiglas. Frequentavano già i pranzi nelle parrocchie. «Sono rimasto senza lavoro un paio di anni fa – racconta Salvo – Vivo da solo, non ho famiglia. Vengo qui di domenica, ma anche lunedì, martedì, tutti i giorni. Con i volontari… siamo amici! Scambiamo quattro chiacchiere. Mi piace anche parlare con gli altri ospiti, ad esempio con Camel che è una brava persona. Avevo iniziato a lavorare saltuariamente, nei ristoranti, ma adesso che sono chiusi, non posso più farlo».

«La mia vita è cambiata quando ho divorziato – sottolinea Camel – Sono in Italia da 33 anni. Ho dormito fuori, adesso ho un posto letto per l’emergenza freddo, però poi a febbraio sono di nuovo in strada. Lavoravo in tintoria, vivevo a Cremona con mia moglie e tre figli. Sono rimasto senza lavoro, poi senza moglie, senza figli, senza casa. E da 3-4 anni sono a Padova perché pensavo, e penso ancora, di trovare qualcosa, lo spero. Qui adesso me la cavo: mangio, ho un posto dove dormire».

Rispetto al servizio in parrocchia qui, anche chi è in cucina, ha la possibilità di guardare gli ospiti negli occhi. «Vedersi attraverso il vetro permette di mandare un bacio, un abbraccio, mettere una mano sul cuore – continua Anna – È molto, molto più coinvolgente anche perché non dai solo un piatto di pasta: gli occhi possono salutare. E, come dice papa Francesco, siamo “fratelli tutti”, apriamo le braccia e diamo la disponibilità quando c’è bisogno». Il connubio che è nato fra le parrocchie e i giovani è davvero positivo: «Siamo contenti che tanti ragazzi siano così sensibili e pieni di voglia di fare» lo dicono Bruna, 72 anni della Madonna Pellegrina, Stefania, 59 anni e Michela, 46 di Chiesanuova, mentre svuotano i vassoi e lavano piatti e stoviglie. «Mi sembra sia una buona esperienza – chiosa suor Albina Zandonà, direttrice delle Cucine popolari – “Mettere insieme” è sempre positivo, creare relazioni è sempre arricchente, credo che faccia bene a tutti. Le cucine alla domenica sono chiuse e sono le parrocchie a offrire il pranzo, ma a causa del Covid adesso potrebbero solo distribuire cestini».

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Si è pensato, dunque, di aprire le cucine la domenica e portare lì i volontari delle parrocchie: «Con il freddo per gli ospiti è importante avere un pasto caldo e si stanno abituando a vedere volti nuovi, a interagire con persone diverse, anche se alle volte è faticoso». Per gli ospiti infatti significa spiegarsi laddove basterebbe un cenno o uno sguardo. Le difficoltà le possono incontrare anche i volontari: Giulia, ad esempio, che è stata volontaria in carcere con Telefono azzurro, racconta proprio la fatica a capire l’altro a causa del plexiglass e delle mascherine. «Non vedi il labiale; tante volte ti senti quasi inadeguato e speri di fare giusto. Però quando prendi il ritmo tutto passa. Le difficoltà iniziali si risolvono. E poi è sempre interessante quando c’è lo scambio con altri volontari che hanno più esperienza». Ci sono persone che svolgono il servizio da decenni, come Renzo, 70 anni che il 27 dicembre festeggia 20 anni di volontariato alle cucine popolari, o Emilio, 63 anni di Chiesanuova, che è anche il referente del gruppo. I figli non sono molto d’accordo su questo impegno che si è preso perché temono per la sua salute, essendo cardiopatico, ma lui ribatte: «In questo periodo dobbiamo un po’ rischiare anche noi, perché se non c’è nessuno che lo fa, queste persone cosa fanno? È un’esperienza nuova che voglio condividere con tutta la mia comunità parrocchiale. Collaborare con i giovani poi è sempre fantastico. È anche un’eredità che lasciamo loro, un messaggio, una testimonianza».

Alle 13.15 la mensa chiude. L’accesso non è più possibile, ma c’è ancora il tempo per un ultimo messaggio speciale: «Vorrei ringraziare tutti per l’opportunità di stare qui, di mangiare ancora insieme, per noi che siamo alla ricerca di una vita migliore» afferma Giovanni, nome italianizzato di Joao, dall’Angola, laureato in filosofia. I volontari che lo conoscono dicono che doveva diventare prete: ha studiato, è una persona colta ed è piacevole chiacchierare con lui. «Questo tempo di Covid ha assassinato e messo in ginocchio milioni e milioni di persone. Questa iniziativa è venuta opportunamente per dare una mano alle persone disagiate che si trovano sulle strade. Un nostro grazie, quindi, va alle parrocchie che sono qua a dare una mano come hanno fatto sempre. Era piacevole andare nelle parrocchie, perché era come un percorso che ti permetteva di conoscere la gente del posto, la comunità. Un “in bocca al lupo” a tutti voi volontari per il vostro lavoro».

L'esperienza

«C’è stato proprio un bell’incontro fra parrocchie, dove l’età media è un po’ più alta, e i ragazzi – afferma Piero Cecchin, coordinatore delle parrocchie per l’organizzazione dei pranzi di solidarietà – Molti giovani sono arrivati anche al di fuori delle parrocchie. Nello stesso ambito i giovani sono stati coinvolti tramite i social e magari i genitori tramite le parrocchie. Questi due mondi sono entrati in contatto in maniera trasversale. Questo è stato davvero positivo perché ci ha permesso di far conoscere il servizio parrocchiale ai giovani che di solito pensano sia un'attività molto legata alla sfera adulta, quindi viene vista in maniera distaccata. I nostri volontari hanno invece trovato dei ragazzi da coinvolgere, molto attenti e sensibili. Il clima quindi è davvero positivo. Inoltre, le Cucine popolari hanno organizzato in maniera ottimale il flusso di accesso che risulta essere tranquillo e permette anche di interagire sia con gli ospiti sia tra di noi».

Il tutto, naturalmente avviene ottemperando ai protocolli e regolamenti anti-Covid predisposti dalle Cucine e su cui c’è stata un’adeguata formazione ai volontari delle parrocchie, tramite alcuni incontri on line.

Una trentina di parrocchie a disposizione per il servizio

Per organizzare i pranzi domenicali alle Cucine economiche popolari, le parrocchie contribuiscono con i volontari per il servizio, preparando i cestini per la sera e offrendo una copertura economica per le spese, calcolata in base alle possibilità di ciascuna realtà. Sono una trentina le comunità che solitamente gestiscono i pranzi di solidarietà, con una quindicina di volontari ciascuna. Vista la grande disponibilità di volontari, alcune si dedicano per lo più alla preparazione del cestino e in questo collaborano anche alcune associazioni, come l’Ordine di Malta che si è reso disponibile il giorno dell’Immacolata e il giorno di Natale. «Anche questa ulteriore collaborazione è un segnale molto positivo della rete che si può creare per dare una risposta a chi ha bisogno» afferma Suor Albina Zandonà, direttrice delle Cucine.

I pranzi della domenica torneranno in parrocchia

È importante che il servizio torni, finita la pandemia, nelle parrocchie, che restano presidi territoriali e che, anche in questo modo, s'interrogano sulla marginalità. Lo dicono gli operatori, ma anche i volontari. «Finita l'emergenza il servizio dovrà tornare nelle parrocchie – spiega Anna, volontaria di Chiesanuova – è importante perché così è un servizio davvero capillare. Non deve essere solo un punto centrale dove dall’esterno affluisce la gente, ma bisogna dare la possibilità a tutti, a seconda di dove ci si trova, di avere un pasto caldo. C’è chi ha la fortuna di avere il biglietto dell’autobus, chi arriva in bici finché il tempo lo consente, ma ora che è freddo? Fa male al cuore vedere quante persone non abbiano il necessario per la sopravvivenza, il "pane quotidiano", che dovrebbe essere un diritto di ciascuno».

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