L’azione educativa di Dio. «Lo circondò, lo allevò, lo custodì»
L’azione educativa di Dio – di cui tutta la Scrittura rende testimonianza – ha una duplice dimensione: personale e comunitaria. Lo scopo ultimo dell’azione educativa divina è far crescere la comunità nel rispetto dei singoli, chiamati a rendere manifesto cosa vuol dire appartenere al Signore
La convinzione che Dio opera nella storia, educando il suo popolo, attraversa la Scrittura: alcuni testi ne fanno esplicita menzione, come il Cantico di Mosè in Deuteronomio 32,10-12 : «Egli lo trovò in una terra deserta, in una landa di ululati solitari. Lo circondò, lo allevò, lo custodì come la pupilla del suo occhio. Come un’aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali. Il Signore, lui solo, lo ha guidato, non c’era con lui alcun dio straniero». In altri, anche senza che sia presente un vocabolario specifico, si allude all’azione educativa divina, così che tutta la storia biblica è segno della sua pedagogia. Nello spazio limitato di queste riflessioni riprendo alcuni aspetti che si ricavano dal testo citato (rimando alla pagina degli Atti degli apostoli, capitolo 8, l’incontro tra Filippo e l’eunuco, come altro esempio significativo). Innanzitutto, educare presuppone un punto di partenza di cui è necessario rendersi conto («la terra deserta»), perché solo così è possibile individuare quale cammino effettivo percorrere, senza scoraggiare e senza al contempo abbassare il tiro. Il punto di partenza può essere anche una situazione dalla quale prendere le distanze, per quanto questa decisione possa essere nel corso del tempo oggetto di ripensamenti e ribellioni (il popolo nel deserto farà fatica a camminare al passo di Dio). La pedagogia divina si distende nel tempo, ha come meta la libertà del popolo, e si modula attraverso parole e gesti di cura; è un’attenzione amorevole che non viene meno all’esigenza di accompagnare verso una esistenza autentica, alla scoperta della verità di sé. Il Cantico di Mosè è anche una parola di denuncia amorosa degli errori di Israele, senza che venga meno il desiderio di bene nei confronti del popolo. Sono la parola rivolta a destinatari precisi, e non formulata in astratto, e insieme l’esperienza concreta a stimolare nella crescita e a promuovere la reciproca fiducia. Anche nella tradizione sapienziale i genitori tengono conto di questa dimensione fondamentale: le loro parole non si presentano come una mistificazione della realtà, non sono avulse dalla concretezza di chi ascolta, parlando di cose lontane dalla vita di ogni giorno o marginali nella loro importanza, ma toccano il vissuto di chi ascolta. Il testo di Deuteronomio non lo lascia subito emergere, ma in tutto il racconto esodico e oltre questa ampia narrazione, risulta evidente la duplice dimensione personale e comunitaria dell’azione educativa di Dio: la sua attenzione va sul singolo, ma non isolato dalla comunità, perché lo scopo ultimo dell’azione educativa è proprio nel far crescere la comunità nel rispetto dei singoli membri chiamati insieme a dare forma a un vivere comune che renda manifesto che cosa voglia dire appartenere al Signore, essere custoditi e accompagnati da Lui lungo le vicende concrete dell’esistenza.
suor Grazia Papola
docente di Sacra Scrittura e Direttrice dell’Issr di Verona