Il perdono e la preghiera di padre Christian Carlassare, vescovo eletto di Rumbek, in Sud Sudan
Padre Christian Carlassare, comboniano di Piovene Rocchette, colpito nella notte di domenica 25 aprile a dieci giorni dal suo arrivo a Rumbek, Diocesi di cui è vescovo eletto. Nemmeno per un momento si è abbandonato alla paura o al rancore. Ha subito pensato a rassicurare i suoi cari e a pregare per la sua gente
«Ieri non sono stato in grado di usare il telefono. Sono stato trasportato a Nairobi e in nottata sono stato operato nuovamente per estrarre alcune pallottole dalle gambe, pulire, disinfettare e ricucire. Ora sono tranquillo in una camera dell’ospedale seguendo le dovute cure. Sono confidente che recupererò presto. Perdono quanti hanno compiuto questo atto e prego per la gente di Rumbek perché superi ogni violenza e sappia percorrere un cammino di giustizia e pace».
Sono le 9.29 di martedì mattina quando il telefono si illumina. La notifica conferma, è padre Christian Carlassare. Sono passate poco più di trenta ore dall’attentato che alla mezzanotte di domenica 25 aprile lo ha ferito a entrambe le gambe. Tutti i media parlano di lui, in Italia e non solo si fanno congetture sulle ragioni di quell’intrusione negli ambienti della Diocesi di Rumbek, nel Sud Sudan, e sui quattro colpi di fucile che hanno raggiunto il vescovo eletto alle gambe. Padre Christian tuttavia sente il bisogno di rassicurare quanti lo hanno raggiunto anche solo con una parola e soprattutto perdona gli autori del fatto e non distoglie l’attenzione dalla sua gente. Il focus è lì: missionario per sempre a servizio della Chiesa che gli è stata affidata.
Il comboniano 43enne di Piovene Rocchette era arrivato nella Diocesi a cui papa Francesco lo ha destinato appena dieci giorni prima dell’attentato. Proprio domenica, per la prima volta, aveva celebrato la messa in dinka, la lingua dell’etnia maggioritaria: un passo importante per lui che nei quindici anni precedenti era stato tra i nuer, etnia in contrasto. Insomma, una giornata speciale, chiusa però tragicamente.
«Alle 7 di lunedì mattina ci ha chiamato direttamente lui – racconta Marcellina Leder, la mamma di padre Chrtistian – Non voleva che lo sapessimo da altri, o che le notizie ci giungessero in modo confuso. Lo abbiamo sentito sereno, ha voluto immediatamente sdrammatizzare la situazione». «Non si sarebbe mai aspettato questo – continua Pierantonio, il papà – È stato accolto come un figlio da quella gente e a loro si è dato anima e corpo. Dobbiamo solo ringraziare il Cielo che i proiettili non abbiano spezzato le ossa o reciso arterie importanti».
Ma anche a casa Carlassare, lo sguardo non si blocca all’attentato: «In questo momento il pensiero fisso è per mio figlio, per le sue condizioni – riprende Marcellina – ma la vera sofferenza è per quella gente che non trova pace da decenni, per la guerra che non si riesce a fermare. E ci chiediamo: da dove provengono tutte le armi che circolano nel Sud Sudan dal momento che lì non se ne producono? Tutti noi, anche piccoli risparmiatori, possiamo fare qualcosa scegliendo la banca giusta per i nostri soldi».
Domenica sera, prima di dormire, al telefono con la sorella Paola che fa parte dell’Operazione Mato Grosso, padre Christian aveva parlato di Nadia De Munari, volontaria di Schio in Perù nell’organizzazione fondata da padre De Censi, morta il 24 aprile dopo un agguato. Poche ore dopo, sarebbe toccato a lui.
«Sono stata svegliata nel cuore della notte da una chiamata dall’Italia. Era il chirurgo Enzo Pisani: “Hanno sparato al vescovo, cerca subito qualcuno con sangue zero negativo”». Paola Pasin è una farmacista di Chiuppano, residente a Lugo di Vicenza, a Rumbek come logista per Medici con l’Africa Cuamm. La sua amicizia con padre Carlassare risale al 2017, dopo un’altra esperienza in Sud Sudan. Dal 1° aprile aveva accettato l’incarico proprio per l’amicizia con il missionario comboniano. «In quei momenti ero confusa, scioccata. Mi pareva impossibile che stesse succedendo davvero. Poi mi sono ripresa e mi sono ricordata che un volontario presente qui, Marco Gamba di Bergamo, nei giorni precedenti mi aveva detto di avere gruppo sanguigno zero negativo. Subito l’ho svegliato e l’ho inviato all’ospedale che dista cinque minuti di auto».
Paola raggiunge il nosocomio solo alle 8 del mattino. «Christian aveva perso molto sangue, ma nonostante tutto era lucido e tranquillo. Ancora una volta ho visto in lui la serenità di chi ha un carisma particolare: la sua preoccupazione era tranquillizzare la massa di gente accorsa per salutarlo: scherzava, rideva, sdrammatizzava. E soprattutto pregava per la gente di Rumbek. Mai una parola di rancore, di rabbia o di paura. Solo tanta fede, che gli ha fatto affrontare tutto sapendo che sarebbe comunque andata bene. È stata una grande lezione di vita».
Mentre andiamo in stampa (martedì 27), le notizie sui media italiani e africani si rincorrono. Aci Africa pubblica un’agenzia in cui si parla di tre preti cattolici tra i 12 arrestati dopo la sparatoria contro il vescovo eletto e tra loro, secondo l’agenzia Dire ripresa da Redattore sociale, ci sarebbe anche padre Mathiang, coordinatore della Diocesi fino a questo momento. Le indagini avrebbero preso il via a partire dal telefonino perso sulla scena del delitto da uno dei due uomini che hanno sparato a padre Christian.
L’unità pastorale di Piovene, Rocchette e Grumello ha scelto subito di rispondere alla violenza con la preghiera e ha organizzato una veglia nelle tre chiese ricordando anche Nadia De Munari, che ha parenti proprio a Grumello. «Qui siamo tutti basiti – confessa il parroco, don Romeo Presa – in paese l’attesa era tutta per il 23 maggio, data fissata per l’ordinazione episcopale. L’amore della gente per padre Christian, per il suo entusiasmo e generosità è grande, non ci resta che affidarci alla Madonna dell’Angelo».
Chi non nasconde l’amarezza è padre Gaetano Montresor, superiore della comunità comboniana di Padova. «Assistiamo a un’evoluzione turbinosa dei fatti – racconta – L’accoglienza di padre Christian a Rumbek era stata bellissima, tantissime persone gli hanno dato il benvenuto con canti e balli, lo hanno anche sottoposto al rito di iniziazione offrendo un vitello, mangiato poi da tutti, per accoglierlo ufficialmente nella loro comunità. E poi, altrettanto velocemente questo attentato. Proprio nell’ultimo “Lunedì della missione” in cui abbiamo dialogato è stato ricordato uno dei principi di Comboni: “Le opere di Dio nascono e crescono ai piedi della croce”. Ecco questa è la dimostrazione». Nello stesso incontro, era emerso anche il tema della preoccupazione, introdotto dello stesso padre Montresor: «Un missionario che non parte preoccupato mi spaventa». In questo caso gli elementi erano due: la mancanza decennale di un vescovo a Rumbek, segno di una situazione complessa, e la provenienza dal servizio ai nuer di padre Christian.
E tuttavia, il vescovo eletto guarda avanti. Non vede l’ora di riprendersi pienamente e di tornare tra la sua gente. «Vive la missione come riconciliazione e pace tra le tribù – conclude don Raffaele Gobbi, direttore del Centro missionario diocesano di Padova – Il suo stile impregnato di sobrietà che punta all’essenziale e rifugge dell’assistenzialismo ha sempre riposto molta fiducia nelle persone del posto come autrici del proprio destino. La sua presenza a Rumbeck, accanto a quella decennale del Cuamm, ci porta a stringere ancora di più la nostra vicinanza».
Due vocazioni sbocciate a una manciata di km
A Schio è nato padre Christian Carlassare. Di Schio era Nadia De Munari. Colpiti, con differenti conseguenze a distanza di pochi giorni. Due missionari, due fedi profonde, sbocciate a una manciata di chilometri, nell’Alto Vicentino che fa parte della due Diocesi di Vicenza e Padova.