Dalla parte degli oppressi e degli emarginati, Kairos Palestina a Padova
“Il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite dovrebbe essere raso al suolo per farne un bel parcheggio”.

Questo è uno dei mantra che un giornalista come Giuseppe Cruciani si diverte a declamare ad una trasmissione radio di tendenza come la Zanzara. Non fanno ridere né lui né le sparate violente di Trump. Ricordiamo cosa accadde quando l'Italia fascista delegittimó la Società delle Nazioni in nome delle sue aggressive ambizioni: la comunità internazionale è un fragile e limitato argine alla legge del più forte; le Risoluzioni dell’Onu riconnebbero lo Stato di Israele, ne proposero uno di palestinese e ormai da tempo pongono l'accento sulle ingiustizie, di cui abbiamo parlato sabato 22 febbraio insieme agli amici di Kairos Palestina, ospiti prima al Centro per i Diritti Umani dell'Università di Padova, poi del Comune e quindi della Diocesi di Padova. L’avvocata Sahar Francis, il reverendo Munther Isaac e Rifat Kassis arrivavano da un tour da Napoli a Venezia; sono i rappresentanti di un movimento cristiano ecumenico, nato nel 2009 attorno ad un manifesto che propone pace, resistenza non violenta e rispetto delle normative internazionali. I nostri amici hanno lanciato un appello alle Chiese perché esse sembrano ignorare il popolo palestinese e nell'anno del Giubileo della Speranza domandano un cambio di regole nel pellegrinaggio verso la Terrasanta perché attualmente viene svolto con delle modalità che escludono i cristiani palestinesi e la possibilità di dare loro voce ed ascolto. Incoraggiati da papa Francesco, che avrebbe voluto riceverli in udienza privata, i tre di Kairos chiedono che tutti noi si prenda posizione per stare a fianco di chi è oppresso e per chiamare con il loro nome il regime di apartheid a cui sono sottoposti; il terrorismo subito per mano dell'esercito israeliano e il genocidio in atto, reso evidente da questi 16 mesi di guerra e da varie organizzazioni internazionali. “Stiamo assistendo non solo al collasso della Palestina, ma anche a quello del diritto internazionale” spiega il rev.Isaac, “in questo momento critico luoghi come l'Ucraina o la Palestina diventano un test per l'umanità intera”. Non possiamo quindi fare finta di nulla: dopo l'orribile massacro perpetuato dai terroristi di Hamas, più di cinquantamila gazawi sono stati uccisi dalla folle reazione del governo israeliano e -tra questi- ventimila bambini sono stati uccisi e minimizzati come “danni collaterali”. Inoltre, l'esercito israeliano sta attaccando e distruggendo alcuni campi profughi; sta evacuando dalla Cisgiordania 45.000 palestinesi e aggiungendo 900 checkpoint a quelli già esistenti prima del 7 ottobre. Essi impediscono di fatto alla popolazione civile una vita normale bloccando strade di accesso a servizi di base, al lavoro, al resto della famiglia; e così succede che Betlemme diventa una prigione a cielo aperto insieme a Ramallah mentre 14.000 persone sono vittime di arresti arbitrari e detenzioni amministrative. Tra gli arrestati, migliaia di minori subiscono torture e violenze anche sessuali. Come se non bastasse, in pochi denunciano che il piano di Gaza proposto da Trump è pura pulizia etnica; né passa l'informazione che i numeri dei coloni israeliani illegali in Cisgiordania è salito ormai a 800.000. Se il futuro dei palestinesi è a rischio; noi non dobbiamo cadere nella logica polarizzante, che vede tutto bianco e nero o che non è in grado di cogliere la complessità di una terra dove ci sono attivisti israeliani impegnati contro il governo di Netanyahu esattamente come palestinesi impegnati nella resistenza nonviolenta in totale opposizione alle logiche di Hamas. Se c'è chi rivendica la separazione in tifoserie, noi dovremmo reclamare il diritto di stare dalla parte degli oppressi: gli ostaggi del 7 ottobre, tanto quanto gli ostaggi dell'apartheid voluta dall'estrema destra israeliana. Noi dovremmo rifiutare la logica “o con Netanyahu o con Hamas” e schierarci invece a pieno viso con gli attivisti israeliani e palestinesi, che chiedono il rispetto delle normative internazionali: ritiro dai territori occupati, riconoscimento dello Stato di Palestina, negoziati di pace invece di tregue armate. Tutti noi abbiamo un ruolo: quando ci voltiamo dall'altra parte; quando non ci informiamo; quando semplifichiamo vicende complesse in slogan stiamo facendo il gioco di chi spara. Sono venuti in tre dalla Palestina a dirci di avere speranza ed essere operatori di pace.
Giorgio Romagnoni