Centro d’ascolto diocesano, avvicendamento al vertice. Elisabetta Vergani prende il posto di suor Michela Mamprin
Elisabetta Vergani, nuova direttrice, riceve il testimone da suor Michela Mamprin, ora in pensione, che ha continuato il servizio anche nella chiusura per Covid
Un avvicendamento che sa di continuità, segno di una storia capace di trasformare il bene del passato in semi di speranza per il futuro. Dallo scorso giugno il centro d’ascolto Caritas diocesano, “porta aperta” sulla città in cui operatori e volontari offrono uno spazio di ascolto a chi si trova in uno stato di grave marginalità sociale, ha una nuova guida: dopo anni come coordinatrice, suor Michela Mamprin, eremita diocesana, va in pensione e affida la continuazione del suo lavoro a Elisabetta Vergani, psicologa con una lunghissima esperienza nel campo del sociale.
«Suor Michela è stata otto anni con noi – racconta Sara Ferrari di Caritas Padova – Ha iniziato con lo Sportello Donna e poi è diventata coordinatrice del centro d’ascolto. In pensione dallo scorso anno, ha dato la sua disponibilità a continuare fino al passaggio delle consegne. È passato l’inverno, c’è stata l’emergenza Covid, lo sportello è rimasto chiuso ma lei ha continuato a lavorare al telefono, offrendo ai nostri beneficiari consigli, aiuti, servizi». Un’opera instancabile che ora, grazie anche al supporto dell’equipe di volontari, continua nelle mani di Elisabetta Vergani: «Elisabetta ha una lunga storia sia nel mondo dell’associazionismo che in quello del privato sociale. Tocca proprio a lei ricevere il testimone da suor Michela, per portare avanti il centro d’ascolto con la sua specifica professionalità». Le premesse, manifestate a giugno in un mese di compresenza tra le due, sono ottime: «Ringraziamo suor Michela per il suo tempo, la sua passione, l’attenzione che ha dato alle persone. Siamo certi che Elisabetta saprà portare avanti questa ricca eredità».
Elisabetta Vergani è consapevole dell’importanza dell’incarico che le è stato affidato: «Entro in punta di piedi in una realtà che già funziona bene e che lavora ottimamente in rete con enti quali Cucine popolari, Pane dei poveri, privato sociale e servizi sociali per costruire percorsi di crescita e di integrazione per chi si trova in condizioni di marginalità». Ma sa anche di poter portare un suo contributo specifico: «Al centro d’ascolto diocesano porto il mio percorso di studi e la mia esperienza di lavoro con gli immigrati, i minori, le persone richiedenti protezione internazionale. Spero di poter dare a chi lavora con noi alcuni strumenti per svolgere ancora al meglio questo servizio». Un altro impegno va nel campo della “professionalizzazione”: «Per quanto è importante che l’aiuto arrivi da persone volontarie, è utile dotarsi di strumenti perché il colloquio sia sempre più efficace e allo stesso tempo aiuti ad affrontare al meglio le situazioni più difficili, anche per il benessere delle operatrici».
«Ciò che ho respirato in queste prime settimane – conclude Elisabetta Vergani – è il frutto del lavoro e dell’esperienza di suor Michela e dell’equipe dei volontari: qui tutti sono accolti come persone, a tutti viene riconosciuta la dignità, qui c’è lo spazio per trovare in chi vive la marginalità le risorse per aiutarlo a ripartire».
Marginalità: una cosa è parlarne, un'altra incontrarla. La testimonianza Suor Michela, l'eremita diocesana per otto anni volto amico dei più poveri e dei più fragili
Suor Michela Mamprin è un’eremita diocesana. La sua vita, scandita dalla preghiera, segue una regola approvata dal vescovo. «Il mio apostolato è la preghiera – racconta – ma la metà del mio tempo, in questi anni, l’ho dedicato al servizio in Caritas». Un servizio iniziato nell’aprile del 2012 e concluso nelle scorse settimane: «Sono stati anni molto belli, nei quali ho avuto modo di comprendere tante cose che prima non capivo». A cambiare tutto è l’incontro reale con le persone: «Sentir parlare di marginalità da fuori è un conto, ma quando ti trovi davanti a loro è in quel momento che ti trovi davvero nella posizione di non dover giudicare, di accogliere, di capire i loro problemi e di dare loro un aiuto». Non assistenzialismo, ma accompagnamento: «Nel mettersi accanto all’altro diventi un suo pari. Sono persone che si sentono emarginate, senza lavoro e senza casa: è in quel momento che dobbiamo accoglierle».
E il rammarico è di non poter aiutare tutti e subito: «Non abbiamo un lavoro e una casa pronti per tutti. E allora, in quel momento, sei chiamato a condividere la sofferenza con loro. Ho cercato di infondere nelle persone la speranza che la vita può sempre cambiare, da un momento all’altro. Ogni mattina chiedevo a Dio la capacità di donare agli altri l’amore che ho ricevuto da Lui. E anche quando non potevo dare alle persone la risposta che volevano, almeno ho sempre voluto far sentire a chi bussava un po’ di quell’amore di Dio, perché si sentissero accolti, si sentissero figli di Dio». Anni difficili, dai postumi della grande crisi fino alla nuova crisi del Covid: «È la mancanza di lavoro che a cascata genera tutto il resto, e a questo si sono aggiunte le difficoltà dei richiedenti asilo. Da parte nostra, sappiamo che il contributo economico è importante, ma la Caritas è anche il luogo in cui chi è in situazioni difficili può venire a chiacchierare, a confrontarsi, per trovare qualcuno che possa aiutarti a ritrovare la strada, anche in virtù di tutti i servizi collegati».