Casa del Buon Samaritano di Bagnoli. Accogliere lascia il segno
Un rifugio e un luogo di riscatto per le donne: è la Casa del Buon Samaritano di Olmo di Bagnoli. Al piano terra sono ospitate giovani migranti, al primo piano mamme costrette a fuggire di casa insieme ai loro figli. Alle attività dei volontari e degli operatori si affianca la solidarietà dei parrocchiani.
Donne richiedenti asilo al piano terra, mamme in difficoltà al primo piano: per tutte loro la Casa del Buon Samaritano di Olmo, frazione di Bagnoli di Sopra, non è soltanto un rifugio sicuro, ma anche un trampolino di lancio verso nuove prospettive di vita. Sei anni fa, infatti, l’edificio che un tempo ospitava la scuola materna si è trasformato in un centro in cui promuovere la solidarietà nei confronti degli emarginati.
«La casa è nata come segno concreto e visibile – afferma l’amministratore Francesco Capuzzo – per testimoniare la solidarietà soprattutto all’interno della comunità cristiana».
Il primo piano, dal 2012 è adibito a Centro di accoglienza temporanea per le donne di qualsiasi nazionalità costrette a fuggire da casa insieme ai propri figli a causa di violenze. Al momento sono ospitate quattro mamme e sette bambini, di età diverse. Oltre a essere un luogo protetto, il Centro di accoglienza temporanea – gestito dalla onlus Fraternità e Servizio – offre alle madri un’occasione di riscatto socio-economico grazie al laboratorio di cucito a macchina organizzato al piano terra dalla cooperativa sociale E-Sfaira di Padova.
Qui le mamme incontrano altre donne che hanno alle spalle un passato doloroso: si tratta di giovani migranti provenienti dall’Africa, accolte dalla cooperativa Progetto Now, che da maggio del 2017 gestisce le stanze del pianterreno. Attualmente sono cinque le ragazze ospitate: una originaria della Sierra Leone, le altre quattro provenienti dalla Nigeria. «Hanno tutte esperienze difficili alle spalle – racconta la coordinatrice Monica Ruffato – provengono da contesti di povertà estrema e prima di attraversare il Mediterraneo sono passate attraverso l’inferno libico, dove le ragazze vengono picchiate, vendute o stuprate dai trafficanti».
Oltre all’accoglienza in senso stretto e all’assistenza sia legale che sanitaria, un altro aspetto importante è l’integrazione. Per questo le migranti partecipano ai corsi di italiano e a quelli per imparare un mestiere. Senza dimenticare il volontariato: una di loro, per esempio, tutti i giorni va a trovare un’anziana del paese. I ragazzi del catechismo, invece, hanno conosciuto le loro storie durante un incontro che ha lasciato il segno.
«Organizzando momenti aggregativi con la gente del posto – sottolinea Ruffato – i migranti smettono di essere le ombre indistinte che si vedono nei telegiornali per diventare persone con un volto e una storia. Questo tipo di conoscenza reciproca innesca un circolo virtuoso tra i gli stranieri e il territorio: chi sperimenta la micro-accoglienza è portato, infatti, a ricambiare l’ospitalità e le attenzioni ricevute, sentendosi parte del tessuto sociale».