Caritas. Sempre attenti a chi soffre. La sfida della Chiesa contro la paura e l'insensibilità alla sofferenza altrui
Don Leopoldo Zanon, presente al meeting delle comunità accoglienti a Sacrofano lo scorso febbraio: «L'insensibilità cresce e dovrebbe preoccuparci molto». Come superare la paura e perché è così importante farlo: «Tra solo trent’anni l’Africa avrà il doppio degli abitanti, mentre i cambiamenti climatici faranno fuggire 150 milioni di persone. O arriveremo preparati a questo appuntamento con la storia, o lo subiremo in modo passivo»
“L’insensibilità nei confronti della sofferenza sta portando l’Europa e l’Occidente in una situazione molto pericolosa, che potrà renderci capaci di mostruosità contro altri esseri umani”.
È una sfida contro il cattivismo che si potrebbe sintetizzare con uno slogan spesso in voga su Twitter: “#restiamoumani”. La posta in gioco è la nostra anima. Dal 15 al 17 febbraio, a Sacrofano, Roma, si è svolto su iniziativa di Caritas italiana, Fondazione Migrantes e Centro Astalli il meeting “Liberi dalla paura”. A rimarcare l’importanza di questa tre-giorni, nata per trovare parole e azioni contro la paura dello straniero e le tentazioni di chiusura, la presenza di papa Francesco.
A rappresentare la diocesi di Padova c’erano Alessandra Pallaro, della parrocchia di Santa Rita, impegnata in esperienze educative verso le mamme giovani straniere, e don Leopoldo Zanon, parroco dell’Unità pastorale di Candiana, Arre, Arzercavalli, Pontecasale e Fossaragna, che proprio a Fossaragna ospita in canonica quattro rifugiati che lavorano nelle aziende agricole del posto.
«A Sacrofano – racconta don Leopoldo Zanon – abbiamo potuto ascoltare numerose testimonianze di come l’accoglienza sia già realtà in molte parti d’Italia, con storie di integrazione, anche sperimentali, che hanno funzionato da Mantova alla Puglia. Esserci per me è stato un regalo da parte della diocesi di Padova e un privilegio. Mi ha fatto capire che non sono solo nelle scelte che stiamo facendo». I quattro rifugiati della canonica di Fossaragna hanno ricevuto un’accoglienza “del secondo tipo”: il loro status è già riconosciuto e possono lavorare: «Due sono occupati a tempo indeterminato, due a tempo determinato. L’accoglienza strutturata favorisce l’integrazione: sono in un paese piccolo, e questo agevola la nascita di relazioni con la popolazione locale, nonché l’acquisizione di una buona dose di autonomia. Dalla mia esperienza, ma anche da quella dei miei fratelli, allevatori di mucche da latte nel Cittadellese, posso dire che l’agricoltura rappresenta una via preferenziale per l’integrazione di questi rifugiati. Da una parte sono già avvezzi a questo mondo, dato che molti provengono da zone rurali, dall’altra l’agricoltura ha tempi più distesi, meno disumanizzanti dell’industria, e anche questo favorisce il dialogo».
Un intervento, tra tutti, ha colpito di più don Leopoldo: le parole del prof. Vincenzo Sorrentino, docente di scienze politiche a Roma e autore di Aiutiamoli a casa nostra, hanno da una parte fatto emergere i rischi a cui sta andando incontro la nostra società, dall’altra ha mostrato alcune soluzioni per invertire il trend.
«Sorrentino – racconta don Zanon – ci ha fatto capire come il concetto di solidarietà sia sempre collegato a quello di interscambiabilità: la consapevolezza che potevamo noi trovarci al posto loro. Questo fa sì che un’elemosina si trasformi in vera solidarietà, in cui il dovere morale si fa davvero sentire». La paura verso lo straniero e le violenze delle parole sono molto più preoccupanti di quello che pensiamo: «Un segnale forte è che non si sta tanto negando l’accoglienza agli stranieri, si arriva a negare la possibilità di un soccorso in mare, che ogni cultura aveva codificato come qualcosa di sacro. L’insensibilità di fronte alla sofferenza altrui dovrebbe allarmarci: è lo stesso tipo di insensibilità che permetteva a onesti e amorevoli padri di famiglia di commettere atrocità nei campi di concentramento nazisti contro gli ebrei».
Un primo frutto di questa esperienza è la pubblicazione di un documento conclusivo: «Promuovere la cultura dell’accoglienza sarà decisivo. Tra solo trent’anni l’Africa avrà il doppio degli abitanti, mentre i cambiamenti climatici faranno fuggire 150 milioni di persone. O arriveremo preparati a questo appuntamento con la storia, o lo subiremo in modo passivo».
Il documento
A questo indirizzo trovate in forma integrale il documento conclusivo del meeting di Sacrofano, Il piccolo passo fa il grande cammino della storia!.
Tra le indicazioni l’invito a dare un nome alla paura, evitando di trasformare l’altro in «un contendente, un avversario, fino a trasformarlo in una minaccia, un nemico», ma anche la consapevolezza che accogliere costruisce la pace, accogliendo lo stile della comunità: «Accogliere è il nostro modo di contribuire alla costruzione di una società rinnovata, capace di lasciarsi alle spalle l’ingiustizia e offrire alle generazioni più giovani un futuro di pace e di crescita economica».