Mose&dintorni: l'illegalità diventata sistema
Dal legame, stretto e perverso, tra impresa, affari e mondo politico o area decisionale, le complicità si sono allargate. Nelle vicende che stanno venendo a galla in questi giorni si trovano coinvolti gli imprenditori, i cosiddetti lobbisti, gli amministratori locali, ma anche chi doveva controllare.
Un tempo, quando ancora c’era la prima repubblica, la dinamica del malaffare era molto più semplice: un imprenditore, per lo più di area edilizia o infrastrutturale, voleva mettere le mani su un’opera; contattava i politici che dovevano decidere, appaltare, e cercava di convincerli a farsi dare il lavoro.
Tale opera di persuasione si articolava in svariate forme di imbonimento: dalla mazzetta in denaro al “cambio merce” (un appartamento, ad esempio, tra quelli realizzati con la benevola licenza edilizia o la lottizzazione), al sostegno alle iniziative politiche e di partito (le campagne elettorali, sempre per citare un caso).
Quando la tangente era per i partiti... Nel tempo tali comportamenti, comunque delittuosi, spesso sono stati assolti dal comune sentire, sulla base di due valutazioni di fondo: che il più delle volte non si trattava di utilizzo di fondi pubblici (il costruttore pagava di suo), in secondo luogo che i quattrini oggetto del malaffare non finivano in tasche private, ma andavano a finanziarie l’attività di partito. Oggi, invece, le cose paiono andare in modo diverso e ogni forma di presunta e certamente equivoca assoluzione non si presenta come praticabile. Perché chi ha distribuito quattrini lo ha fatto a cuor leggero, con estrema liberalità, tanto i soldi non erano suoi; chi poi li ha ricevuti, sapeva benissimo da dove venivano.
Un salto di qualità. Insomma, da questo punto di vista, il crimine, legato alla realizzazione di opere (pubbliche) e agli equivoci legami tra affari e politica, ha compiuto un salto di qualità, ovviamente in negativo.
«Semplificando – spiega Gianni Belloni, responsabile dell’osservatorio “ambiente legalità” di Legambiente del Veneto – potremmo dire che quello che sta accadendo testimonia come il malaffare legato alle opere e agli appalti ora sia diventato un sistema. La differenza non è di poco conto, soprattutto perché coinvolge soggetti molto diversi nei compiti, nelle aree di competenza e di intervento. Di fatto la corruzione si è instaurata in tutti gli ambiti, si presenta con una compattezza articolata: indica soltanto che chi ha messo in piedi questa modalità operativa delittuosa si è “coperto” su tutti i fronti». Il ragionamento è molto semplice: dal legame, stretto e perverso, tra impresa, affari e mondo politico o area decisionale, le complicità si sono allargate. Nelle vicende che stanno venendo a galla in questi giorni si trovano coinvolti gli imprenditori, i cosiddetti lobbisti, gli amministratori locali, ma anche chi doveva controllare, come magistrati di varie aree, forze dell’ordine, funzionari pubblici, perfino i servizi segreti. Tutti dentro, tutti partecipi.
Se i "controllori" si fanno corrompere. Ha stupito molto l’opinione pubblica proprio il fatto che anche i “controllori” siano stati coinvolti: un segnale che ha minato ulteriormente la credibilità dello stato. Ci sono, in merito altri fenomeni inquietanti: come ad esempio la circostanza che un ex questore (già capo della squadra mobile della città del Santo), Carmine Damiano, vada fare il top manager di una delle grandi imprese di costruzioni più coinvolte nei giri equivoci (la Mantovani). Che vuol dire? Quali legami ci sono? È il tentativo dell’impresa stessa di portare in azienda un po’ di pulizia o di “polizia”?
La mafia in Veneto? Qualcuno poi ha collegato le vicende attuali alle presunte infiltrazioni malavitose nel Veneto. «Su questo sarei molto cauto – aggiunge Gianni Belloni – Nelle nostra regione, da quel che abbiamo potuto appurare come osservatorio, ci sono due aree che sono fortemente in odore di infiltrazioni: quella veronese e quella del Veneto orientale, dalle parti di San Donà e Caorle. Ciò che è successo in laguna, la vicenda Mose, pare più una questione di casa; anche se non è sempre facile fare luce sulle dinamiche che si possono attivare. È chiaro: la malavita organizzata va dove c’è da prendere, da guadagnare. I gruppi criminali lo fanno con modalità diverse: la camorra ad esempio ha più un atteggiamento predatorio (arriva, prende e se ne va); la ‘ndrangheta tende invece a insediarsi nel territorio e a governare le attività delittuose. È anche vero che in questo momento, sul versante edilizio e della grandi opere, non c’è molto da arraffare, perché i soldi sono pochi e l’attività costruttiva, ad esempio, praticamente è ferma. Per questo la malavita si è spostata su altri settori, come i rifiuti o il gioco d’azzardo».
La crisi economica, dunque, potrebbe perfino rappresentare un’opportunità di pulizia sociale, soprattutto se alla congiuntura negativa si assocerà una riconsiderazione in merito alle grandi opere (i 500 chilometri di autostrade previsti in Veneto, l’ospedale di Padova, i centri commerciali, Veneto city…); anche se i cittadini di questa regione dalle recenti vicende giudiziarie hanno capito una cosa: il malaffare, organizzato e di alto profilo, è ormai “cosa nostra”, nel senso che siamo perfettamente in grado di generarlo e alimentarlo in consapevole autarchia.
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