Corruzione, «Tempo scaduto. La politica decida»

Gianfranco Viesti, docente di economia all’università di Bari: «Occorrono norme semplici e precise che producano soluzioni certe e verificabili. Temo invece che la politica sia più sensibile all’annuncio di azioni di brevissimo periodo, che non necessariamente sono migliori, per aggredire il fenomeno della corruzione». Sui giovani del Sud: i più bravi fuggono all’estero, gli altri chinano il capo.

Corruzione, «Tempo scaduto. La politica decida»

Il papa a Napoli (sabato 21) e il cardinale Bagnasco nella sua prolusione al Consiglio permanente della Cei (lunedì 23 marzo) hanno entrambi denunciato con forza la corruzione, il malaffare, il malcostume dilagante nel paese.
Abbiamo chiesto a Gianfranco Viesti, docente di economia all’università di Bari, di riflettere sul fenomeno.
 
Le denunce sono chiare: malcostume e malaffare «sembrano diventati “regime”, talmente ramificato da essere intoccabile»: così papa Francesco e il cardinale Bagnasco. Visto da un economista, che costo ha la corruzione per il sistema?
«Un costo certamente molto alto, difficile da stimare. Penso e temo che sia decisamente maggiore che negli altri paesi europei».

E come si traduce questo “costo” in termini di mancati investimenti e di mancata creazione di nuovi posti di lavoro regolari?
«La cattiva esecuzione di opere pubbliche, i ritardi nella consegna di opere che poi si rivelano malfatte, le tangenti che fanno lievitare gli esborsi finali comportano un costo rilevante e dalle ricadute a volte incalcolabili».

Il 74 per cento delle imprese laziali, per citare un caso, ritiene “normale” la corruzione negli appalti. Come reagisce secondo lei l’opinione pubblica italiana?
«Mi sembra che l’opinione pubblica sia molto smarrita. Da un lato è alle prese con numerose “grida”, che denunciano dappertutto episodi di malcostume, quando ci sono e forse a volte anche quando non ci sono. Dall’altro, però, non vengono offerte soluzioni concrete, per cui si rischia un clima di diffusa frustrazione».

Il mondo politico sembra accogliere con un certo distacco gli appelli di papa e vescovi. È sufficiente?
«Dovrebbe agire di conseguenza. Importante sarebbe prendere decisioni di lungo periodo, perché questi problemi non si risolvono dall’oggi al domani. Occorrono norme semplici e precise che producano soluzioni certe e verificabili. Temo invece che la politica sia più sensibile all’annuncio di azioni di brevissimo periodo, che non necessariamente sono migliori, per aggredire il fenomeno della corruzione».

Che ne pensa dell’ipotesi di mettere le tangenti tra i costi aziendali quando si tratta con paesi in via di sviluppo, classificandole come “mediazioni”? Gli americani lo facevano. Così ci sarebbe un esborso alla luce del sole e un beneficiario certo.
«Il modello americano è molto diverso da quello europeo. Certo, bisogna tenere conto delle diverse condizioni che ci sono in giro per il mondo. Ma da noi se un’azione è un reato, come tale va trattata».

Nella competizione sul mercato globale ci vuole un approccio creativo e “grintoso”, per acquisire commesse. Basta vedere come si muove la Cina o gli emirati arabi. Che potrebbe fare l’Italia di più?
«Il nostro paese ha una discreta posizione nei lavori internazionali. È un patrimonio che tutti ci riconoscono. Offrire buone tecnologie e buone soluzioni penso sia già una ottima base di partenza. Meglio questo di tattiche commerciali.

Che dire ai giovani, soprattutto al Sud, che anche a causa della corruzione rimangono fuori dal mercato del lavoro?
«Questi fatti suscitano molta sfiducia nel futuro e conseguenze molto difficili da misurare. I più bravi fuggono all’estero, gli altri assumono un atteggiamento di maggiore disponibilità a “chinare il capo” di fronte a situazioni che non piacciono. Si dice: è sempre così, non posso farci nulla».

Al Nord sembra più diffusa la corruzione di altissimo livello, al Sud quella di natura mafiosa. Differenze?
«Meno di quanto sembra. Purtroppo è un fenomeno nazionale che ha sfumature locali, ma che associa tutte le aree del paese. Del resto le grandi organizzazioni mafiose da tempo si sono radicate anche al Nord».

Per rilanciare il lavoro specie nel Mezzogiorno bisogna forse rifare l’Iri?
«Rifare l’Iri è impossibile, per varie ragioni. Bisogna invece puntare su politiche pubbliche e industriali più intense. Il lavoro si crea solo se c’è sviluppo».

Auspicherebbe l’arrivo di fondi esteri di venture capital e di private equity?
«Io sarei favorevole all’arrivo di imprese industriali per aumentare la capacità produttiva. Favorevole anche a fondi e finanziatori per il sostegno a start-up e ricerca e innovazione. Sono invece dubbioso se arrivano soggetti stranieri che prendono il controllo di nostre attività. Questo è più controverso, non è un “male” assoluto, ma occorre essere prudenti».

Se avesse una “ricetta” per il rilancio, quali ingredienti ci metterebbe?
«La Banca d’Italia ha detto che servono più investimenti privati e anche pubblici. Il privato non investe se non ha prospettive, il pubblico se non ci sono regole certe. Ci vuole uno sforzo di fantasia anche politica: leggi innovative, per spendere di più e meglio oggi e stare tutti meglio domani».

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Parole chiave: legalità (39), corruzione (57), tangenti (10)
Fonte: Sir