Beni confiscati alla mafia, un patrimonio per la società
Vent'anni fa l'approvazione della legge 109, invidiata da tutti i paesi europei; un corpo normativo avanzato, che prevede, oltre alla confisca dei beni appartenuti ai criminali, anche il loro riutilizzo a fini sociali. Un proposito ambizioso, che ha trovato concretezza in un numero discreto di casi, una novantina dei quali nella nostra regione.
L’errore di partenza potrebbe essere quello di ridurre tutto a una questione simbolica. Certo, parlare di legalità nel salotto dell’ex villa di Felicetto Maniero, fondatore e capo della mala del Brenta, può essere gratificante e perfino dare un senso di appagante, ma forse effimera, vittoria dello stato e della giustizia nei confronti della criminalità. Ma se si rimane allo stato emozionale, al valore appunto simbolico di tale evento, non si va poi molto lontano. Anche perché le cose stanno diversamente.
L’Italia si è data una legge (la 109 del 1996) della quale proprio in questi giorni si celebrano i vent’anni di promulgazione, invidiata da tutti i paesi europei; un corpo normativo avanzato, che prevede, oltre alla confisca dei beni appartenuti ai criminali, anche il loro riutilizzo a fini sociali. Un proposito ambizioso, che ha trovato concretezza in un numero discreto di casi (oltre 500), come appunto quello riguardante l’ex abitazione del famoso “faccia d’angelo”.
Nell’edificio di Campolongo Maggiore, affidato al comune e gestito dal 2008 dall’associazione Affari puliti, si sta tentando di far vivere un incubatore d’impresa destinato prevalentemente a giovani imprenditori di buona volontà, ma soprattutto il luogo è diventato il cuore di una serie di iniziative tutte sul versante della formazione, della crescita, del diffondere la cultura della legalità. Qui ci si trova, ci si confronta, d’estate arrivano i ragazzi per i campi di lavoro; il tutto in stretta collaborazione con il municipio e le associazioni, come Libera.
Non è un’operazione semplice, sia chiaro. Soprattutto se si vuole uscire dall’ambito delle iniziative affidate alla buona volontà e sperare che possano diventare invece autonome e solide, anche sul piano della gestione, dei costi spesso pesanti.
Lo dice Davide Gianella, sindaco di Piove di Sacco, città confinante con Campolongo non soltanto per motivi geografici, ma anche per presenze malavitose che in passato hanno fatto danni. «La legalità costa, sia sul versante economico che su quello morale, dell’assunzione di responsabilità, di denuncia ad esempio».
Insomma, comportarsi bene è un sacrificio. Su questo non ha dubbi neppure don Giorgio De Checchi, moderatore dell’unità pastorale di Piove e riferimento padovano di Libera. «Soprattutto qui in Veneto facciamo un po’ fatica a renderci conto che la legalità è un problema che riguarda anche noi». Il tema, a dire il vero, è controverso: in fondo, sostengono anche i più attenti osservatori, non è agevole, neppure dal punto di vista documentale, attestare la presenza malavitosa organizzata da queste parti. Ma basta mettersi d’accordo sui termini. «Forse – spiega un po’ causticamente don Giorgio – qui non c’è spazio per mafia o ‘ndrangheta perché ci pensiamo da soli». Il riferimento è, ad esempio, ai recenti casi legati al Mose, giusto per far capire come l’illegalità non sia solo quella legata ai clan, ma esista e venga praticata anche da stimati professionisti e accreditati politici, rigorosamente indigeni.
«Di fatto – aggiunge l’esponente di Libera – in Veneto siamo schiavi della cultura (si fa per dire) del “mio”, rispetto al quale siamo pronti e disponibili a giustificare tutto, anche i peggiori misfatti. È un atteggiamento diffuso, trasversale, che coinvolge anche quelli che poi versano migliaia di euro in beneficenza… Ma questo non è più tollerabile, è una condanna. Abbiamo bisogno di crescere sul versante della coscienza civile, dell’etica, della responsabilità».
In sostanza, c’è una via veneta, da lungo e da molti percorsa, dell’illegalità, che può apparire meno cruenta, ma non per questo scarna di pericolosità e di malaffare.
Allora, ricordare i vent’anni di questa legge, che «ha trasformato luoghi di delinquenza in spazi pedagogici» (dice sempre don Giorgio) ha un grande valore. Che potrebbe diventare anche economico, perché questa fetta d’Italia, ad esempio, potrebbe ripartire anche con tante piccole opere, non soltano con le grandi, legate a un utilizzo creativo di spazi e beni confiscati. L’operazione non è automatica, come spiega Paolo Bordin di Affari puliti, perché si intrecciano problemi giudiziari, economici, ipoteche, sentenze… una babele talora non facilmente districabile. Comunque, per gestire un bene confiscato come quello di Campolongo servono migliaia di euro all’anno.
Ma una strada in qualche modo è segnata, ne sono convinti tutti; discutendo di questo, di una legge che ha già vent’anni, di un percorso da continuare, di tanta formazione da fare, di qualche sogno che si speri diventi realtà, proprio nel vecchio salotto buono di “faccia d’angelo”.
Già una novantina di confische
Nonostante il dibattito sulla presenza malavitosa in Veneto sia aperto (da segnalare in proposito il recente volume Mafia a nord est. Corruzione, riciclaggio, disastri ambientali di Luana De Francisco, Ugo Dinello e Giampiero Rossi, edizioni Bur). resta il fatto che la nostra regione si posiziona al decimo posto nel paese per numero di beni confiscati, ospitando quindi un consistente patrimonio immobiliare che si configura, a detta degli esperti e degli osservatori del settore, come una risorsa potenzialmente molto utile per tutta la regione.
Ma quanti sono e dove si trovano i beni confiscati in questo territorio?
Secondo i dati dell’Anbsc (agenzia nazionale per la gestione e l’amministrazione dei beni confiscati), raccolti in una ricerca della fondazione Angelo Frammartino, in Veneto ci sono ben 88 beni confiscati, di cui 84 immobili e 4 aziende, presenti in 23 comuni della regione: Badia Polesine, Belluno, Bussolengo, Campagna Lupia, Campolongo Maggiore, Caorle, Castel D’Azzano, Cerea, Erbè, Gallio, Isola della Scala, Jesolo, Oppeano, Padova, Salzano, San Giovanni Lupatoto, San Michele al Tagliamento, Sanguinetto, Stra, Susegana, Trevignano, Venezia e Verona.
La provincia che ospita il maggior numero di beni confiscati è Venezia, con 36 beni, seguita da Verona (25), Belluno (11), Padova (7), Rovigo e Treviso (3) e Vicenza (2). Tale dato si spiega tenendo conto della presenza all’interno del territorio provinciale lagunare di tre comuni (Campolongo Maggiore, Stra e Campagna Lupia) con un alto numero di beni che erano di proprietà di affiliati all’autoctona “mala del Brenta”.
Il numero maggiore di beni confiscati è presente a Campolongo Maggiore, con ben 12, seguono Belluno con 11 beni, Salzano con 9 beni e Padova con 7.
Per quanto riguarda la tipologia dei beni immobili, si tratta prevalentemente di abitazioni e loro pertinenze, terreni edificabili o agricoli, capannoni, strutture industriali e commerciali.
In relazione alle aziende, invece, dai dati dell’agenzia nazionale risultano essere in totale 4, presenti a Venezia (2), Belluno (1) e Sanguinetto (1).
Degli 88 beni confiscati presenti in Veneto, 10 (9 immobili e 1 azienda) sono usciti dalla gestione, ovvero non sono più disponibili poiché, di solito, la confisca è stata annullata o revocata; 7 (4 immobili e 3 aziende) sono in gestione direttamente all’agenzia, ovvero sono beni per cui non è stata ancora definita una destinazione finale. Molti di questi sono gravati da vincoli, soprattutto ipoteche che ne impediscono la destinazione.
Settantuno beni sono stati destinati e consegnati, ovvero per questi è stato completato l'iter, dalla confisca alla riassegnazione, per cui dovrebbero poter essere riutilizzati direttamente dai comuni o dagli enti gestori.
I beni ancora direttamente in gestione dell’Anbsc sono, per gli immobili, 3 in provincia di Padova e 1 a Treviso, mentre per le aziende 2 in provincia di Treviso e 1 nel Veronese, per un totale di 7.
I beni invece usciti dalla gestione sono un’azienda e 4 immobili nel Bellunese, 2 nella provincia di Padova, 1 in quella di Venezia e 2 in quella di Verona, per un totale di 10.
Complessivamente in Italia, da quando è entrata in vigore la legge, sono stati riutilizzati 507 beni confiscati sui circa 2.000 disponibili. Teoricamente vi sono ad oggi altri 5.000 beni che potrebbero essere assegnati secondo le indicazioni previste dalla legge.