Azzardo, un altro anno record. giocati quasi 90 miliardi
Cresce in maniera inverosimile la febbre degli italiani per il gambling, il gioco d’azzardo declinato in tutte le sue forme, dal banale “gratta e vinci” alle scommesse, fino alle famigerate slot machine che come funghi proliferano in bar e ricevitorie, per non parlare della rete che corre lungo pc, tablet, cellulari. Nel 2015 giocati 88 miliardi e 500 milioni di euro.
Se tra il 1999 e il 2000 gli italiani spendevano all’incirca 10 miliardi di euro, soltanto pochi anni dopo, nel 2004, la somma era più che raddoppiata (24 miliardi e 786 milioni) fino ad arrivare a quadruplicarsi nell’arco di dieci anni, con l’aiuto di decreti ad hoc dei governi Berlusconi (2009 lancio dei casinò online) e Monti (2011 apertura del mercato delle slot online).
Nel 2015 gli italiani sono arrivati a spendere 88 miliardi e 500 milioni di euro
Per farci un’idea: lo scorso anno solamente le scommesse sono cresciute del 28 per cento rispetto al 2014 e il nostro paese ricopre una quota del 26,5 per cento sul volume totale del gioco d’azzardo legale a livello mondiale. Il fatturato da miliardi di euro per le lobby continua indisturbato e soltanto quello dell’industria delle slot, in quindici anni, è schizzato del 350 per cento.
Un affare per lo stato? Tutt'altro...
«La rendita assicurata allo stato italiano – spiega il sociologo Maurizio Fiasco, presidente di Alea, associazione per lo studio del gioco d’azzardo e i comportamenti a rischio – non è però così redditizia: l’aliquota riservata su ogni giocata è soltanto del 9 per cento rispetto a quando 30 anni fa lo stato tratteneva il 30 per cento, autorizzando pochissimi giochi. Qui si cela un prelievo fiscale occulto soprattutto ai danni del ceto più debole. Inoltre, le concessionarie hanno sedi fiscali all’estero dove pagano le imposte indirette sul reddito senza nessun beneficio per lo stato italiano».
Il gambling è la nuova eroina di migliaia di persone (un italiano su 75 è colpito da ludopatia) che distruggono se stesse, dilapidando redditi, annientando famiglie e relazioni personali.
A Padova nel 2015 ben 308 persone sono state seguite dall’ambulatorio contro il gioco patologico del Sert dell’Ulss 16 che stima comunque che siano circa 2 mila i padovani affetti da ludopatia, poiché il fenomeno continua a essere sommerso, facile da mascherare a chiunque.
«Abbiamo stimato che gli oltre 88 miliardi giocati lo scorso anno – continua Fiasco – hanno eroso 70 milioni di giornate lavorative, perché è qui che si fonda il sistema che spinge la persona a occupare sempre più tempo della propria vita nel gioco. Le macchine sono costruite scientificamente ad arte per rinforzare la gratificazione del giocatore con piccole vincite, ma in questo modo il concessionario deve riservare al montepremi somme più alte ed è per questo che ha bisogno che il giocatore giochi sempre di più per fidelizzarlo attraverso la dipendenza».
Ma di fronte all’evidenza dei numeri e al «labirinto di un comportamento compulsivo» come lo ha definito mons. Nunzio Galantino, segretario della Cei, lo stato italiano che fa?
Dopo aver tentato lo scorso ottobre di inserire nelle bozze della legge di stabilità 2016 altri 22 mila punti gioco, col duplice obiettivo di accontentare le lobby e ricavarne un altro mezzo miliardo, il governo Renzi, venendo smascherato subito dall’opposizione pentastellare, ha stabilito una riduzione del 30 per cento delle slot machine. Attenzione, però: entro il 2019.
Il mercato del «gioco con alea con posta in denaro» (come viene definito retoricamente con un artificio linguistico nel sito dei monopoli di stato) si sostanzia con la pubblicità che regola un giro d’affari di 25 milioni l’anno investiti in gran parte in tv: per porre un freno al rischio patologico, la legge di stabilità ha posto dei paletti all’interno della fascia oraria “protetta” dalle 7 alle 22 nelle trasmissioni radiofoniche e televisive, che rappresentano il campo migliore dove seminare gli annunci.
«Un’altra foglia di fico – conclude Fiasco – perché quello di cui ha bisogno il paese è invece di essere educato a una consapevolezza e a una responsabilità civile su un problema dilagante».