Sirene populiste a Praga e Bratislava
Scenari politici poco rassicuranti in Slovacchia e Repubblica Ceca. Da una parte la passata oppressione dell’identità nazionale slovacca, comporta una forte apertura da parte dei cittadini nei confronti dei cosiddetti “populismi sociali ed economici”. Nel futuro ceco, invece, si profila un derby tra populismo “morbido” e populismo “oltranzista".
«Le persone tendono a preferire le soluzioni apparentemente semplici. Di fronte ai loro problemi personali, non hanno abbastanza tempo per ascoltare spiegazioni approfondite di un problema e i possibili risvolti negativi di una certa soluzione. Non riescono a capire che i problemi complessi non possono proprio avere soluzioni semplici. Ecco perché il populismo è così largamente diffuso tra i cittadini».
Parole del politologo Ivan Roncak, dell’ufficio slovacco di Transparency International. Questo fenomeno appare in modo evidente nei paesi post-comunisti, dove le generazioni più anziane ricordano le “grandi promesse” di prosperità sociale per l’intera nazione provenienti dal regime, ma forse non ne ricordano le reali conseguenze… «Ecco perché hanno anche oggi una così marcata tendenza a credere alle promesse vane» di taluni politici: il che è fra l’altro dimostrato dal sostegno piuttosto accentuato ai partiti populisti, tanto nella Repubblica Ceca quanto in Slovacchia.
Slovacchia, populismo “sociale” e “nazionale”. Lo sviluppo politico in Slovacchia è stato segnato da diversi regimi politici a partire dall’inizio del ventesimo secolo: monarchia, semi-autoritarismo, democrazia pluralistica, totalitarismo fascista, democrazia “nazionale” limitata, totalitarismo comunista, e la recente “rotazione” fra democrazia liberale e conservatrice, dopo il 1990.
A causa del contesto storico, caratterizzato in passato dall’oppressione dell’identità nazionale slovacca, si osserva una forte apertura da parte dei cittadini nei confronti dei cosiddetti “populismi sociali ed economici”, rappresentati dal partito attualmente al governo, lo “Smer - Demokracia Sociálna” (socialdemocrazia), che gode del sostegno di circa il 35 per cento dei cittadini.
Le porte sembrano aprirsi generosamente anche al “populismo nazionale”, tradizionalmente rappresentato dal Partito nazionale slovacco, di destra, che di tanto in tanto gioca la carta dei diritti delle minoranze ungheresi all’interno del sistema statale slovacco e del problema dell’integrazione di alcuni gruppi rom nella società. Per di più, l’intera rappresentanza politica è stata colta di sorpresa nel novembre 2013 in occasione delle elezioni comunali e regionali, quando il leader del Partito popolare Nostra Slovacchia (nazionalista radicale), Marián Kotleba, è stato eletto governatore della Banskà Bystrica, una delle regioni-chiave del paese.
Un politico la cui strategia – secondo le sue stesse parole – consiste nel non avere paura di «coprire grandi buchi con toppe molto spesse», e questo, in concreto, significa collocare gli interessi nazionali radicalmente al di sopra della “dittatura di Bruxelles”, ripristinare la valuta slovacca al posto dell’euro, abbandonare la propria adesione al “Patto criminale Nato”, individuare delle “soluzioni radicali” al “problema rom”.
«Questo risultato delle elezioni riflette una certa rivolta di un numero consistente di slovacchi nei confronti dello Smer, il partito al governo», spiegano i sociologi, aggiungendo che Kotleba è di fatto un «prodotto di questo governo, perché ha costruito la sua retorica sulla carenza di soluzioni – che ha radici antiche – alle gravi differenze regionali e sociali». Vale la pena ricordare che lo Smer attualmente occupa non soltanto tutte le poltrone del governo, ma anche la maggioranza dei seggi in parlamento, e il suo leader Robert Fico punta alle elezioni presidenziali, che si terranno a marzo. Tuttavia, «lo shock della vittoria regionale di Kotleba potrebbe costituire un impulso a un risveglio da parte dei politici di ogni orientamento e a una riflessione sul loro atteggiamento nei confronti della cosa pubblica», sostiene Martin Klus, osservatore politico.
Repubblica Ceca, il peso del denaro. Il fatto che gli elettori stiano perdendo la pazienza sembra venire alla luce anche nella vicina Repubblica Ceca. Il recente sviluppo e la stabilità della scena politica locale sono stati pesantemente segnati da numerosi scandali che hanno colpito alcuni dei suoi più alti rappresentanti – in particolare l’ex primo ministro Petr Nečas (Partito civico democratico, di centro-destra) – portando l’anno scorso alla caduta del governo. Ci si sarebbe aspettati con le elezioni anticipate un ritorno dell’asse politico del paese verso sinistra, invece ci si è trovati di fronte a uno scenario inedito.
I socialdemocratici sono infatti divenuti la prima forza parlamentare, con poco più del 20 per cento dei voti, la percentuale più bassa nella storia della Repubblica Ceca indipendente; ma si è trattato di un successo piuttosto illusorio visto l’impatto di un partito politico nuovo di zecca come il movimento anti-corruzione Ano2011, guidato dal miliardario del settore agro-alimentare Andrej Babiš.
Un partito questo definito dagli avversari e dagli esperti di politica come “fortemente populista”. Ano2011 nel corso della campagna elettorale è emerso dall’oscurità extra-parlamentare e ha conquistato la scena, ottenendo il 18,7% dei voti, diventando così da un giorno all’altro il secondo partito sulla scena nazionale.
«Elezioni vinte da un populismo con poche idee e dal denaro», hanno commentato i media. Secondo gli esperti, questo sviluppo riflette un modello più ampio che si sta facendo strada in tutta l’Europa centro-orientale. In questa regione i partiti socialdemocratici hanno combattuto a lungo per costruire ampie coalizioni elettorali e arginare l’ascesa dei nuovi sfidanti populisti, rappresentati da personaggi “anti-politici” che vanno dagli aristocratici agli uomini d’affari, con una forte presenza di partiti nazionalisti radicali. Tenendo conto che anche i partiti che si ispirano ai principi della socialdemocrazia tendono al populismo, nel futuro ceco si profila un derby tra populismo “morbido” e populismo “oltranzista”.