Se la "generazione Erasmus" dice no all'Europa
Il sociologo Piergiorgio Corbetta analizza le scelte della generazione Erasmus che sembra rifiutare i partiti tradizionali quando non addirittura il voto: «In tutta Europa c'è una situazione di crisi e c'è bisogno di trovare un capro espiatorio. Per esempio, l'euro…». A questo si aggiunge che i giovani «hanno meno fedeltà di partito, e sono più propensi ad abbracciare nuove idee». Inoltre «non hanno idea di classe, sono deideologizzati».
La chiamano “la generazione Erasmus”. L’Europa giovane, quella dei confini allargati, della moneta unica, quella dei voli low cost e dello studio all’estero. Una generazione che però, a questa Europa, è pronta anche a dire “no”. Dal prossimo 22 maggio (Regno Unito e Olanda) fino a domenica 25, giorno in cui si voterà anche in Italia, andranno in scena le elezioni per il rinnovo del parlamento europeo: le ottave in assoluto dal 1979, e le prime cui prenderà parte anche la Croazia, secondo paese dell’ex Jugoslavia ad entrare nella famiglia dell’Unione europea.
Una famiglia al cui interno si iniziano ad addensare però malumori e istanze di divorzio provenienti da più parti: il Front National di Marine Le Pen in Francia si prepara ad essere il primo partito col 23 per cento; l’Ukip di Nigel Farage, protagonista di una campagna elettorale anti-immigrati Ue, domina i sondaggi britannici con oltre il 30 per cento; e ancora Olanda, Finlandia, Lituania, Repubblica Ceca. Paesi diversi fra loro per storia, lingua, politica e problematiche ma uniti nell’antieuropeismo dilagante. Un sentimento che raccoglie i propri consensi soprattutto nella fascia più giovane della popolazione, quella che dovrebbe avere un animo più “continentale” ma anche quella su cui la crisi economica ha picchiato più duro. Sulla partecipazione dei giovani al voto ecco l’opinione di Piergiorgio Corbetta, sociologo, ex direttore dell’Istituto Cattaneo (fondazione che si occupa di attività di ricerca per promuovere la conoscenza dell'Italia contemporanea), docente dell’università di Bologna.
Secondo alcuni analisti, in queste elezioni i giovani potrebbero dare la loro preferenza a partiti euroscettici. Recenti sondaggi Ipsos rivelano che in Italia il 32,9 per cento dei giovani, tra i 18 e i 24 anni, e il 33,9 di quelli fra i 25 e i 34, voterà per il Movimento 5 Stelle; percentuali simili le ha in Francia il Front National di Marine Le Pen. Come si spiega un tale successo?
«In tutta Europa c’è una situazione di crisi e c’è bisogno di trovare un capro espiatorio. È quello che si può definire un ‘uso politico delle emozioni’: meno un partito è radicato a un certo tipo di storia, a un certo tipo di ideologia o corrente politica più si aggancia alle emozioni, individuando o a volte anche inventando un colpevole. Per esempio, l’euro: alla moneta unica è stata imputata da più parti la causa della crisi. Ma chi lo fa non si pone il problema del collasso economico che provocherebbe un’uscita dall’euro, né si pronuncia su soluzioni alternative: una proposta del genere, senza essere articolata, rimane solo una boutade».
Per quali motivi questo “uso politico delle emozioni” fa più presa sui giovani?
«Si accavallano varie condizioni. Principalmente il disagio economico: molti giovani sono senza lavoro o si trovano in condizioni economiche precarie. In seconda battuta, i giovani hanno meno fedeltà di partito, e sono più propensi ad abbracciare nuove idee. Per esempio un elettore settantenne, che in passato ha sempre votato il Pci, poi i Ds, e poi ancora il Pd molto difficilmente cambierà collocazione politica. I giovani di oggi inoltre non hanno idea di classe, sono deideologizzati. Si può dire che abbiano una maggior leggerezza politica. Infine vi è anche quello che viene comunemente detto "voto di protesta” che tradizionalmente attrae le fasce più giovani delle popolazione».
Quanto pesano le vicende politiche nazionali sul voto europeo?
«Soprattutto in Italia spesso le elezioni europee vengono viste come test nazionale. Tuttavia per la prima volta in queste elezioni nel dibattito sono entrati dei temi di carattere continentale: il no all’euro, l’Europa come "matrigna", il no alla Merkel e alle sue politiche. La problematica europea è entrata a far parte dei temi trattati in campagna elettorale».
L’Italia è il paese nel quale la maggioranza degli under 35 (88 per cento, dati Eurobarometro) indicano come ragione per votare un “obbligo morale”. Può essere un segnale di come vadano al voto in maniera non consapevole?
«Non condivido questa interpretazione: "obbligo morale" non significa atteggiamento passivo, voto inconsapevole. Significa avere la consapevolezza che i valori civili sono importanti: se percepisco una cosa come tale significa che la faccio con cognizione di causa. In Italia c’è sempre stata un’alta presenza alle urne, anche perché le due precedenti tradizioni politiche, quella comunista e quella cattolica, erano impegnate sul piano civile, esigenti sull’impegno sociale, e il voto era considerato un dovere per la società. È un tratto della nostra cultura politica che è in parte rimasto anche ora».