Le Pen trionfa con i voti cattolici
Un praticante su cinque ha scelto il Front National. La preoccupata analisi di Jérôme Vignon, presidente delle Settimane sociali: «I cattolici hanno votato per Le Pen nonostante le raccomandazioni dell'episcopato, molto impegnato per l'Europa. È un cattolicesimo di identità che rifiuta il messaggio della chiesa cattolica che chiede di far posto allo straniero e di dargli ospitalità. Siamo divisi anche su papa Francesco».
Un cattolico su cinque in Francia ha votato domenica scorsa alle elezioni europee per la leader del Front National Marine Le Pen. Con un totale del 21 per cento dei voti espressi in favore del partito di estrema destra, i cattolici sono leggermente al di sotto della media nazionale degli elettori che hanno premiato il Front (25 per cento). Ma la progressione negli anni è costante: nel 2009 il Front National, allora guidato da Jean-Marie Le Pen, aveva raccolto appena il 4 per cento dei voti dei cattolici praticanti e il 7 dei voti nazionali. Dunque in cinque anni, il loro numero è moltiplicato.
Jérôme Vignon, presidente delle Settimane sociali di Francia (Ssf), perché Le Pen piace così tanto ai francesi?
«Le ragioni sono più di una. La prima va sicuramente ricercata in quel malessere verso i partiti di maggioranza e di opposizione che in qualche modo in Italia viene espresso da Beppe Grillo. La seconda ragione è la situazione sociale. La grande maggioranza di chi ha votato per Marine Le Pen sono operai e impiegati. La disoccupazione di lunga durata cresce costantemente. Il 30 per cento dei giovani con meno di 35 anni ha votato per Le Pen, praticamente la metà dei suoi elettori. Le Pen dunque ha saputo farsi eco delle speranze dei giovani e degli operai. Ma c’è una terza ragione: la leader del Front National ha fatto una campagna elettorale eccellente. Non una campagna demagogica o populista ma una campagna che ha puntato e ha fatto breccia sul sentimento di orgoglio nazionale profondamente radicato in Francia. Sono molti a ritenere che l’appartenenza all’Europa imprigiona, impedisce di agire indipendentemente. Costringe soprattutto ad una mondializzazione che distrugge. Un’Europa che si subisce e non si sceglie».
E i cattolici l’hanno scelta: un cattolico su cinque l’ha votata. Perché?
«Di più. Un cattolico su cinque se si considerano i cattolici praticanti, ma se si prende l’insieme del panorama degli elettori che si dicono cattolici e dunque anche i praticanti irregolari o non praticanti, l’indice sale al 27 per cento, più della media nazionale».
E allora perché ai cattolici piace Le Pen?
«Intanto i cattolici hanno votato per Le Pen nonostante le raccomandazioni dell’episcopato. I vescovi francesi rappresentano un episcopato molto impegnato per l’Europa. Evidentemente ci sono cattolici che non ascoltano i vescovi e le loro raccomandazioni. Perché? Credo che abbiano inciso l’argomentazione identitaria, la difesa dell’identità cristiana dell’Europa, la paura di un’Europa che si apre troppo alla immigrazione, con un Islam imponente che ha profondamente cambiato il volto delle città. È l’immagine di un cattolicesimo di identità che rifiuta una certa parola della chiesa cattolica e che chiede invece di far posto allo straniero e di dargli ospitalità in maniera incondizionata».
Sta dicendo che c’è distacco tra i cattolici e le istituzioni della chiesa?
«L’80 per cento dei cattolici praticanti regolari è andato a votare. Hanno quindi in questo senso seguito l’episcopato che domandava di non disertare le urne. Ma i vescovi chiedevano di votare per l’Europa non certo per il Front National. Non dobbiamo comunque esagerare nell’interpretazione dei dati perché comunque i cattolici praticanti che hanno votato Le Pen sono stati il 20 per cento. Rimane comunque il dato che per i cattolici di Francia c’è chi pensa che l’Europa stia rischiando di mettere in pericolo l’identità cristiana del continente».
Quale lettura dare allora al voto dei cattolici francesi?
«Che c’è una divisione silenziosa. Andiamo tutti alla messa, ascoltiamo tutti la Parola di Dio, prendiamo la comunione, siamo uniti nella fede. Ma siamo profondamente divisi sulla nostra visione della società e del mondo. Ci sono episodi che fanno riflettere, come l’ "Affaire Brugère": la filosofa militante di sinistra Fabienne Brugère alla quale è stato revocato l’invito a svolgere una relazione a un corso di formazione per responsabili nell’ambito della pastorale familiare per l’opposizione di una minoranza che addirittura aveva presentato contro di lei una petizione. Ci sono quindi rotture sul modo stesso di vivere la fede, tra chi è fortemente centrato sull’identità cattolica e chi al contrario – come chiede papa Francesco – è aperto alle periferie e in ascolto del mondo».
Divisi dunque anche sulle linee di papa Francesco?
«Sì, certo. Divisi anche sul pontificato di papa Francesco. C’è sicuramente una minoranza di cattolici francesi che non comprende o comunque non segue gli orientamenti contenuti nella Esortazione apostolica Evangelii Gaudium».
Come vede allora il futuro della chiesa?
«Credo che occorra oggi più di ieri mettersi in ascolto gli uni degli altri. Penso che non si debba assolutamente fare finta che nulla stia succedendo nel mondo cattolico, minimizzare i malesseri né mettere gli uni contro gli altri. Al contrario, bisogna mettersi in ascolto, prendere atto delle diversità di aspirazioni e visioni, soprattutto per quanto riguarda il modo di vivere la fede e comprendere chi non si ritrova nella prospettiva post-conciliare di grandi aperture e accoglienze. L’altra sfida urgente è quella del dialogo. Bisogna parlare e cercare di capirsi. Prendersi il tempo di dialogare senza imporre la propria visione all’altro. D’altra parte se non si accolgono nel dialogo queste diversità e non si tenta un cammino in fraternità, come possiamo pensare di poter parlare al mondo e trasmettere un messaggio condiviso all’esterno?».