Dall'Ungheria l'ennesimo campanello d'allarme
Il premier uscente Viktor Orban si conferma. Il centrosinistra, mai in gara, si accontenta di aver superato il 20 dei consensi. I populisti della formazione estremista Jobbik, dalle simpatie neonaziste, forti di quasi un quinto dei voti magiari, confermano il successo delle nuove destre. Un nuovo avvertimento all'Unione europea in vista delle alleanze tra filoeuropeisti per far funzionare le istituzioni.
Le elezioni ungheresi – che hanno confermato al potere il premier uscente Viktor Orban, amato dal suo popolo ma guardato con timore a Bruxelles, in altre capitali europee e da alcune comunità religiose – ribadiscono soprattutto una tendenza socioculturale trasformatasi in realtà politica: l’ascesa costante, pressoché in tutta Europa, delle formazioni estremiste, populiste, talvolta attraversate da venature xenofobe e antisemite.
Si tratta di partiti generalmente ritenuti “di destra”, come il francese Front National di Marine Le Pen, oppure come l’estremista Jobbik, formazione magiara dalle simpatie naziste accreditato da quasi un quinto dei voti ungheresi; ma ci sono anche i populismi “di sinistra”, fra i quali il più noto è Syriza, partito greco guidato da Alexis Tsipras.
Le urne ungheresi. A Budapest resta dunque in sella il premier conservatore e nazionalista Viktor Orban. Un elettore su due (anche se il 40 per cento dei cittadini ha disertato le urne) gli ha ridato fiducia, soprattutto sulla base di alcune indubitabili performance economiche, ottenute con una feroce deregulation e con iniziative volte ad attirare investitori stranieri.
Orban ha governato il paese tra il 1998 e il 2002, per poi tornare premier nel 2010 con il suo partito Fidesz, affiliato al Partito popolare europeo, che lo ha esplicitamente sostenuto in campagna elettorale. Orban in questi anni ha dato una scossa al paese, accelerando le riforme, anche con forzature alla costituzione che hanno messo in guardia l’Ue e i commentatori internazionali.
Le stesse elezioni si sono svolte in un clima di vantaggio per Fidesz, con collegi elettorali ridisegnati, l’appoggio dei media pubblici, una campagna aggressiva sul piano della pubblicità. Alla coalizione di centrosinistra, alternativa a Orban, non sono rimasti molti spazi per farsi conoscere e l’esito, sopra il 20 per cento, è ritenuto soddisfacente.
Jobbik, invece, si fa largo tra gli ungheresi a suon di slogan dai toni accesi, anti-stranieri, contro l’Europa, contro le istituzioni e le nazioni vicine. Il premier potrò contare, grazie a un generoso premio di maggioranza, su un parlamento dalla sua parte, ma non potrà trascurare il fatto che il successo di Jobbik pone anche all’Ungheria seri interrogativi politici.
Le Pen, un simbolo. Del resto il risultato ottenuto dagli estremisti ungheresi non fa che confermare la “marea antieuropea” che di recente ha trovato in Marine Le Pen un simbolo continentale. Il recente voto amministrativo in Francia ha fatto balenare il pericolo di una valanga di voti alle prossime europee di maggio verso tutte le formazioni che si oppongono all’Europa, alla moneta unica, ma anche alla solidarietà tra le nazioni Ue, alla libera circolazione dei lavoratori, alla costruzione del mercato unico, alla condivisione delle politiche energetiche o migratorie, a una coesa azione europea sulla scena mondiale.
Formazioni simili al Front National, o almeno altrettanto contrarie all’Europa, sono già in piena campagna elettorale nel Regno Unito, nei paesi scandinavi, nei Paesi Bassi, in Belgio, così pure in Italia, Grecia, Romania, Slovacchia, Bulgaria, solo per citare i casi più eclatanti.
Il gioco democratico. Probabilmente questi partiti – che faranno fatica a trovare un’azione comune una volta giunti a Strasburgo, proprio per le loro forti caratterizzazioni nazionaliste – non supereranno il quarto dei 751 seggi dell’europarlamento, ma certo daranno voce al “no all’Europa unita” che si leva dai diversi angoli del vecchio continente.
Dopo il 25 maggio, il problema sarà dunque duplice. Anzitutto occorrerà trovare, per far funzionare le istituzioni Ue, un’alleanza tra i gruppi parlamentari filoeuropeisti a Strasburgo (Popolari, Socialisti e democratici, Verdi e Liberaldemocratici), che comunque dovrebbero avere, insieme, una netta maggioranza in emiciclo. Ma sarà la seconda sfida quella più impegnativa: ossia trovare il modo di riassorbire queste formazioni “no Europa” entro l’alveo del processo democratico che si fonda sul rispetto delle regole dello stato di diritto, della democrazia partecipativa, della classica divisione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario), delle relazioni pacifiche tra le nazioni.