Contro il populismo, servono risultati
La Lega, pur di riconquistare terreno cavalca ogni possibile parola d'ordine o slogan che circola nei territori di pertinenza. Anche i più incongrui o irrealisti, come l'indipendentismo. Le forze "tradizionali" cambiano pelle e lo stesso presidente del consiglio scommette sulla frattura cambiamento/conservazione, molto più che su tutte le altre tradizionali, a partire da quella destra/sinistra.
Potenza delle elezioni. L’appuntamento per il parlamento europeo è sempre stato snobbato, c’è sempre stato un forte astensionismo e i politologi le hanno da sempre definite elezioni di “secondo ordine”. Eppure i partiti, tutti, vecchi e nuovi, si stanno attrezzando, fiutando l’importanza dell’appuntamento in un momento di radicale ristrutturazione, in prospettiva a breve termine, del sistema politico italiano. Così tutto fa brodo, in particolare nel campo della protesta, che vale poco meno di un terzo dell’elettorato, di questi tempi di crisi, di incertezza, di confusione.
Forse hanno sgominato una pericolosa cospirazione contro lo stato, ma all’atto pratico, gli arresti ordinati con pesantissime accuse di un manipolo di indipendentisti nell’ex territorio dell’ex repubblica veneta, da Brescia al mare, sembrano paradossalmente avere ridato fiato nei sondaggi alla Lega, come sempre lesta ad appropriarsi di ogni possibile parola d’ordine o slogan che circola nei territori di pertinenza. Anche i più incongrui o irrealisti, come si è visto in questi vent’anni e più, dall’improbabile ampolla del Po alla stessa invenzione dell’inesistente Padania.
Così, mentre il manipolo di irriducibili indipendentisti langue nelle patrie galere, la piazza si riempie di tranquilli slogan, che annunciano una possibile rivitalizzazione di un movimento che sempre più subisce, proprio nel grande serbatoio del Nordest, la concorrenza del più moderno movimentismo grillino.
Dobbiamo quindi semplicemente continuare a non prenderli sul serio, mentre coltivano la rendita elettorale della protesta? In realtà questo episodio ci porta a misurarci con la serietà dei problemi che ci stanno di fronte.
Siamo infatti in un sistema politico non diviso per linee ideologiche, culturali o di interessi, ma in tre parti: chi si chiama fuori, cioè gli astensionisti, a diverso titolo; chi protesta e dunque vota per le forze di opposizione per l’opposizione; infine il bacino di consenso alle forze politiche a diverso titolo di governo, che a loro volta si dovrebbero bi-polarizzare.
Ecco perché le forze “tradizionali” cambiano pelle e lo stesso presidente del consiglio scommette sulla frattura cambiamento/conservazione, molto più che su tutte le altre tradizionali, a partire da quella destra/sinistra, ritenendo che l’antidoto al (cattivo) populismo protestatario sia una sorta di (virtuoso) populismo dei risultati concreti. È il modo per reagire alla sensazione che il terzo bacino, quello che si pone coerentemente il problema del governo, risulti quasi inevitabilmente soggetto a progressiva erosione.
Anche perché governare è difficile, molto difficile. Come dimostra proprio la vicenda della Lega, pure arrivata ad esprimere il governatore delle tre regioni del nord più ricco e produttivo. Più facile seguire il trend della protesta, rilanciare continuamente, sapendo di farlo in fin dei conti sul vuoto. Che non ci porta da nessuna parte e consuma tutte le rendite.