Bentornati, intellettuali al capezzale d'Europa
Bentornati tra noi, bentornati alla realtà, verrebbe da dire, di fronte al pensoso appello di un autorevole gruppo di intellettuali socialdemocratici di diversi paesi – solo un italiano, per intenderci – per le prossime elezioni europee.
«Ma è assolutamente necessario prendere sul serio lo scetticismo dei cittadini». Dove quel “ma”, la particella avversativa con la quale la grammatica insegna non si dovrebbe mai iniziare un discorso, è tutto un programma. Di più: «per guadagnare i cittadini all’Europa, la politica deve affrontare i temi che stanno a cuore alle persone».
Bentornati tra noi, bentornati alla realtà, verrebbe da dire, di fronte al pensoso appello di un autorevole gruppo di intellettuali socialdemocratici di diversi paesi – solo un italiano, per intenderci – per le prossime elezioni europee, diffuso in questi giorni. Benvenuti nella terra di nessuno della crisi e dunque dell’identità europea. Un concetto che una decina di anni fa, al tempo della fallita costituzione europea era guardato come un’inutile eredità di un passato remoto.
Bentornati alla realtà, perché, al di là delle questioni domestiche, per cui anche in Italia in questa occasione avranno inevitabilmente un importante significato di politica interna, come prima prova del governo appena insediato, le elezioni europee hanno ormai una precisa posta.
In realtà il parlamento europeo resta un’assemblea molto particolare. Numerosissima (751 deputati), plurilingue, eletta in 28 stati, con sistemi elettorali leggermente differenziati, nell’arco di alcuni giorni, dal 22 al 25 maggio prossimi, non ha mai mobilitato gli entusiasmi elettorali. Non c’è infatti un’omogenea offerta politica europea: in ogni nazione si presentano forze politiche locali, tutt’al più collegate in quei grandi contenitori che sono i cinque o sei “partiti” o meglio “gruppi” di livello continentale.
Eppure quest’anno c’è una posta. E non è la previsione del Trattato di Lisbona per cui il presidente del Consiglio dell’Unione consulta il parlamento per un possibile candidato alla presidenza della commissione “prendendo in considerazione i risultati elettorali” e i candidati proposti dai diversi europartiti.
La posta in gioco è il risultato dei partiti a vario titolo “populisti”, “euroscettici”, di opposizione più o meno radicale a quello che sempre più, e soprattutto in questi anni di crisi a diseguale velocità, che fa perdere molto a molti e guadagnare parecchio a pochi, vien giudicato come un potere concentrato, lontano e autoreferenziale.
L’inchiesta che abbiamo pubblicato a puntate in queste settimane ha ben mostrato tutte le evidenti contraddizioni e i gravissimi limiti di queste posizioni, spalmate in tutti gli stati. Ma anche le parole d’ordine semplici e roboanti e la dinamica di un consenso che cresce semplicemente come rendita della crisi.
Ecco allora, che, cacciato dalla porta del dibattito politicamente corretto, soffocato dalla burocrazia, dalla tecnocrazia, il tema dell’identità ritorna, sia pure nell’estrema strumentalizzazione, al centro della discussione, ovvero della politica. Prenderlo sul serio e non consegnarlo come rendita elettorale agli euroscettici è la vera sfida di questa campagna elettorale, un delicato passaggio nella storia di un’Unione, che deve fare fino in fondo i conti con se stessa.