L'intervista prima dell'ordinazione
Prima dell'ordinazione, il vescovo Claudio si è intrattenuto in curia con i giornalisti presenti. Ecco le sue parole: dall'incontro col papa alla questione immigrati, dalla sua residenza a Padova alle speranze e ai timori con cui si avvicina al suo nuovo ruolo.
Quando ho incontrato il papa, non sapevo bene come rivolgermi a lui. Allora gli ho detto “buongiorno”… e ho visto che lui ha gradito molto! Poi mi sono presentato, “sono il nuovo vescovo di Padova” e mi ha salutato calorosamente… “tutti mi dicono che lei è la persona giusta”!
Credo che mi abbia scelto perché sono stato parroco, per l’esperienza in Caritas, perché non ho mai avuto ambizioni di carriera. Certo, mi avvicino a questo nuovo incarico con preoccupazione, la mia speranza è di riuscire a rimanere quello che sono, al di là dei titoli, del cerimoniale, del ruolo…
L’immigrazione? Per noi cristiani la scelta evangelica è obbligata, poi certo non spetta a noi indicare le soluzioni pratiche precise, c’è una vasta gamma di possibili scelte ma l’accoglienza, l’attenzione ai poveri, ai più deboli è naturale.
Ho visto una bella chiesa a Mantova, e sono convinto ce ne sia una bellissima anche a Padova, tante persone nelle case e a volte anche nei posti meno immaginabili, pieni di fede, che solo il Signore conosce e vede… ecco quella è la chiesa, e vengo con tanta fiducia perché sono convinto che venga custodito nelle case di Padova tanto di questo patrimonio di fede.
Le persone che ho incontrato mi hanno incoraggiato tanto, dato fiducia e la sensazione di non essere da solo… Spero anche che la gente continui a chiamarmi don Claudio, mi pare che i titoli facciano parte di uno stile diverso da quello del vangelo. Nei prossimi giorni verrò ancora a Padova per sistemare “la casa”.
Sarò in episcopio, il primo giro che ho fatto era per vedere dove andare ad abitare, la mia speranza è che a parte 2-3 stanze per me, il resto possa essere utilizzato anche per ospitare altri preti, che anch’io abbia una famiglia con la quale condividere le mie giornate. Il vicario generale, il segretario potranno abitare lì ma a me piacerebbe che anche un prete se ha bisogno di stare in compagnia con altri possa trovare lì casa sua. Vorrei davvero passare dall’”io” a un “noi”, anche nella gestione della vita della diocesi. Insieme è più facile fare scelte che siano anche rispettose della nostra fede, delle tradizioni, delle abitudini che ci sono.
Fraternità con i preti, attenzione ai poveri, servire la vita delle comunità perché siano veramente entità fraterne e non solo entità giuridiche, questi sono per me i primi compiti. E se costruiamo comunità vive, davvero evangeliche, lì ci sarà spazio anche per i poveri.