Domani papa Francesco ad Auschwitz, tra "disumanizzazione" e oasi di speranza
Venerdì Francesco sarà il terzo papa a varcare i cancelli del luogo degli orrori più noto al mondo, dove sono stati sterminati quasi due milioni di ebrei, e non solo, in nome di un odio all’uomo, prima ancora che alla fede.
Il lungo viale che porta al campo di sterminio di Auschwitz oggi è verde.
Eppure, neanche il rigoglio della vegetazione, in quest’alba estiva un po’ uggiosa, riesce a cancellare l’immagine dei deportati che in lunghe colonne, su strade sterrate polverose o fangose a seconda del grado di clemenza atmosferica, si incamminano a marce forzate verso il loro destino di morte.
La prima cosa che si vede stagliarsi imponente è il Crematorio numero 1, sul lato sinistro dell’ormai famigerata scritta “Arbeit macht frei”.
E’ la porta d’ingresso di Francesco, che venerdì prossimo sarà il terzo papa a varcare i cancelli del luogo degli orrori più noto al mondo, dove sono stati sterminati quasi due milioni di ebrei, e non solo, in nome di un odio all’uomo, prima ancora che alla fede.
Auschwitz è l’Apocalisse creata dagli uomini.
È la desertificazione – pianificata fin dai minimi dettagli – dell’umanità, con le graticole dei forni crematori come un Giudizio Universale. In questo luogo, fino a 71 anni fa, la parola “disumanizzazione” è stata declinata in tutte le sue più atroci sfumature.
Eppure, oltre ogni abisso di morte e di disperazione, “solo l’amore crea”, assicurava padre Kolbe, nella cui cella al “blocco 21” il Papa sosterà in preghiera silenziosa: perché il male tende a ripetere inesorabilmente sé stesso.
E così, accanto alle ceneri dei cadaveri che dai roghi sono stati buttati negli stagni, nei boschi e nei fiumi paludosi che circondano Auhschwitz e Birkenau, rendendo tutta quest’area un cimitero senza tombe, ci sono oasi di pace e di preghiera che fanno dell’accoglienza e del dialogo l’antidoto ad ogni ritorno al passato.
Rischio sempre incombente, come mostra l’atmosfera plumbea di terrorismo e violenza di cui sono nutriti i nostri giorni.
I visitatori del Museo di Auschwitz-Birkenau sono in media un milione all’anno. Solo nei giorni della Gmg di Cracovia, i giovani accorsi da circa 200 Paesi hanno fatto salire il contatore a 300mila presenze.
La grande e pacifica affluenza ha “blindato” tutta la zona e ha costretto gli organizzatori a non fare entrare i ragazzi nei “blocchi” – 28 solo quelli di Auschwitz – ma a permettere loro una visita completa attraverso grandi pannelli con gigantografie che, lungo il campo di “Auschwitz 1”, riproducono ciò che si trova all’interno dei “blocchi”.
Si chiamano “Alle soglie di Auschwitz”, e sono incontri "durante i quali sperimentiamo la vittoria dell’umanità che ci fa sperare in un futuro migliore”.
A presentarceli è padre Jan Novak, il direttore del Centro di dialogo e preghiera di Oswiecim, a due passi dal campo di concentramento di Auschwitz.
“Si tratta – spiega – di incontri con ex prigionieri ebrei e cristiani, con giovani tedeschi e polacchi, con professori, sacerdoti, rabbini di varie nazioni".
“Quasi sempre – prosegue il direttore del Centro, guidato dalla Fondazione di Cracovia e sorto nel 1992 per iniziativa del cardinale Francesco Macharski, d’intesa con i vescovi d’Europa e i rappresentanti delle istituzioni ebraiche – qui si incontrano persone ferite: gli ebrei sono feriti dal ricordo del tentativo di distruzione della loro nazione, i polacchi pensano alla frequente violazione della loro sovranità da parte di potenze straniere e i tedeschi sono feriti per la consapevolezza delle colpe presenti nella loro storia”.
Di qui l’idea di “creare un luogo di riflessione, formazione, scambio di idee e di preghiera”, a prescindere da quale sia la religione di appartenenza: perché il punto è “ricostruire la dignità dell’uomo, passo dopo passo, per quanto ne siamo capaci”.
Il numero di padre Kolbe, che ha offerto la sua vita per salvare quella di un padre di famiglia, era 16.670.
Quello di Marian Kolodzej, artista e scenografo polacco, entrato nel campo di Auschwitz a soli 17 anni, il 14 giugno del 1940, era 432: faceva parte del primo trasporto di polacchi tra i “blocchi” dove ha passato cinque anni ed è sopravvissuto, assistendo all’episodio in cui il francescano fondatore dei Miliziani dell’Immacolata ha rotto la fila per offrirsi ai nazisti.
Per 50 anni Marian – morto nel 2009 – ha rimosso il suo soggiorno obbligato tra gli orrori, ma poi ha avuto un ictus e da allora i ricordi sono tornati a girare vorticosamente: ne è nata una mostra, “Cliché di memoria, labirinti”, ora ospitata nel centro gestito dalle Missionarie dell’Immacolata-Padre Kolbe ad Harmeze, che in questi giorni accolgono ragazzi e ragazze giunti per la Gmg dalla Bolivia, dal Brasile e dall’Italia.
“Parole chiuse in un disegno”, l’ha definita l’autore, che ha dedicato 15 anni della sua vita ad adempiere ad una promessa, prima rimossa e poi riemersa, fatta ai suoi compagni di prigionia: “Se ti salvi, devi raccontare”.
Centottanta ettari, a tre chilometri da Auschwitz. È Birkenau, o “Auschwitz 2”, il luogo dove i nazisti hanno sterminato il maggior numero di ebrei.
Sarà la seconda tappa del terzo giorno di Papa Francesco in Polonia, dopo la visita silenziosa ad “Auschwitz 1”. Bergoglio si recherà al monumento alle vittime delle Nazioni, che annovera una serie di lapidi nelle 23 lingue usate dai prigionieri. Passando davanti a esse, deporrà una candela accesa e incontrerà 25 “Giusti tra le nazioni”.
Intanto, proprio in direzione delle lapidi, si sta già muovendo un fiume silenzioso e commosso di pellegrini di varie nazioni: guidati dai loro sacerdoti, percorrono le 14 stazioni della “Via Crucis”, cantando e pregando. Una sorta di viatico, prima di vivere l’esperienza della “Via Crucis” insieme al Papa, venerdì.