Gioia e orgoglio in Centrafrica per la Porta Santa
Franco Coppola, nunzio apostolico nella Repubblica Centrafricana e in Ciad: "È una notizia che ha colto tutti di sorpresa. Non s'era mai sentito che un Giubileo mondiale cominciasse fuori da Roma, ma, per usare una bella immagine tante volte ripresa da Papa Francesco, egli – e tutta la Chiesa con lui – vuole piantare un ospedale da campo accanto alle parti in conflitto. La Chiesa non può disarmarle, ma può curare le ferite, può disarmare i cuori...".
La preoccupazione per “i dolorosi episodi” degli ultimi giorni in Centrafrica ma, soprattutto, l’intenzione di aprire il 29 novembre “la Porta Santa della cattedrale di Bangui”
Domenica 1° novembre, le parole di Papa Francesco all’Angelus hanno suscitato “gioia e orgoglio” nel Paese che rappresenta una delle tre tappe dell’imminente viaggio apostolico in Africa.
A descrivere il “clima” è monsignor Franco Coppola, nunzio apostolico nella Repubblica Centrafricana e in Ciad.
L’apertura della Porta Santa è una bella notizia per il Centrafrica con un messaggio di riconciliazione importante...
“È una notizia che ha colto tutti di sorpresa. Non s’era mai sentito che un Giubileo mondiale cominciasse fuori da Roma, ma, per usare una bella immagine tante volte ripresa da Papa Francesco, egli - e tutta la Chiesa con lui - vuole piantare un ospedale da campo accanto alle parti in conflitto. La Chiesa non può disarmarle, ma può curare le ferite, può disarmare i cuori… E il Giubileo della misericordia è la medicina che il Papa indica a tutti, e alla Chiesa Centrafricana in particolare, per curare le profonde ferite che questa lunga e terribile crisi ha causato all’animo di tanti centrafricani”.
Come è stato accolto questo annuncio nel Paese?
“Con gioia e anche - se vogliamo - con un pizzico di orgoglio, per il privilegio fatto al Centrafrica, Paese abituato ad essere sempre agli ultimi posti in tutte le classifiche. Sarà invece il primo a ricevere la grazia dell’infinita misericordia di Dio. Ovviamente, i fedeli hanno anche percepito che il Papa, in questo modo, dà loro una consegna, indica una strada per uscire dal conflitto e recuperare la pace: la strada della misericordia. Non è facile parlare di misericordia quando le ferite bruciano ancora. Per questo, la Chiesa ha lanciato un articolato programma di preparazione spirituale, perché il Santo Padre trovi un terreno ben lavorato, capace di accogliere la sua parola”.
Il Papa ha espresso anche “viva preoccupazione” per gli episodi degli ultimi giorni. Cosa è accaduto nuovamente?
“Mentre ormai la quasi totalità della popolazione (e buona parte delle milizie) non ne può più di questa guerra, ci sono frange di irriducibili che si illudono di poter regolare con le armi gli innumerevoli problemi del Paese. E c’è anche qualche politico che trae vantaggi personali dallo stato di guerra e fa credere che il bene del Paese coincida con la cacciata di tutti quelli che la pensano in un altro modo, invece di darsi da fare per far rivivere la coabitazione pacifica che per decenni il Paese ha conosciuto fra gente di diversa etnia o religione. L’ultima ondata di violenza è cominciata una settimana fa, quando un commando della sedicente milizia ‘cristiana’, gli ‘anti-balaka’, ha circondato e ucciso, nella capitale, tre dei quattro membri di una delegazione di miliziani musulmani, venuti a parlamentare col Governo per deporre le armi e riciclarsi come partito politico. Questo ha innestato una spirale di reazioni e di vendette, che dura fino ad oggi. In questi casi la gente non ha altra scelta che quella di abbandonare le case e rifugiarsi in luoghi ritenuti più sicuri, in genere intorno a parrocchie o altre istituzioni della Chiesa. Sono migliaia le persone che sono arrivate nei campi per gli sfollati, mentre le bande armate sfogano la loro rabbia saccheggiando e incendiando le case lasciate disabitate”.
In questa situazione, dunque, continua l’opera di accoglienza della Chiesa…
“Come Gesù insegnava e guariva, così la Chiesa è chiamata a predicare e, al tempo stesso, a guarire, a curare, ad alleviare i tanti mali, le tante sofferenze che il peccato e la violenza causano, soprattutto a danno dei più deboli e indifesi. L’arcivescovo della capitale, monsignor Dieudonné Nzapalainga, passa da un campo profughi all’altro, portando la parola di consolazione del Buon Pastore e distribuendo gli aiuti materiali che il Santo Padre gli ha fatto pervenire per venire incontro alle prime necessità. Ed è questa mano tesa, questo abbraccio, questo sorriso che cominciano a guarire le ferite nel cuore, che cominciano a riconciliarci con l’umanità, ad aiutarci a credere che l’altro è un fratello e che c’è un Padre che me l’ha mandato per aiutarmi a rialzarmi”.
Francesco, nel dare l’annuncio dell’apertura della Porta Santa, ha esortato anche “tutti i centroafricani ad essere sempre più testimoni di misericordia e di riconciliazione”.
“Credo che il Papa ci esorti anzitutto a riconoscerci oggetto della misericordia del Padre, riconciliati grazie all’offerta che Gesù ha fatto di se stesso. Partire dalla considerazione di come il Padre ci avvolge nella sua misericordia per farne parte anche agli altri, per farla scoprire, gustare anche agli altri... magari per fare il primo passo, e poi anche il secondo, e il terzo, senza aspettare che l’altro si smuova e ricambi. Proprio come fa il Signore con noi, pur di riconciliarci a sé”.