Migration Compact, Carta blu: le due proposte della Commissione all’esame dell’Europa
La Commissione illustra a Strasburgo due differenti proposte. La prima è un piano per lo sviluppo economico e sociale di Paesi africani e mediorientali dove si originano i flussi verso l'Ue. La seconda riguarda l'integrazione dei lavoratori stranieri, di cui la "nonna Europa" può avere necessità. La parola ora passa a Europarlamento e Consiglio degli Stati. Ma rimangono, irrisolti, tutti i problemi urgenti legati all'accoglienza dei migranti e al diritto d'asilo.
“Dovremmo avere tanti Zlatan”, per dimostrare che l’integrazione “è possibile” e “può portare risultati positivi per tutti”.
La figura esemplare evocata è quella del centravanti svedese Ibrahimović, pluridecorato sul campo e strapagato da club di mezza Europa, di papà bosgnacco e mamma croata, fuggiti dalla ex Jugoslavia e riparatisi in Svezia, dove il futuro campione nasce nel 1981.
A evocare questa, certo inconsueta, storia di migrazione è Frans Timmermans, vice presidente vicario della Commissione europea. A Strasburgo è arrivato per presentare, martedì 7 giugno, il nuovo Migration Compact. E, proprio per sintetizzare le varie proposte dell’Esecutivo, cerca di spiegare che, se ben governati, i flussi migratori non sono da demonizzare e se ne possono trarre persino dei vantaggi.
Guardare oltre l’emergenza.
La Commissione Ue si presenta nella sede dell’Europarlamento – dove cerca una sponda legislativa – per lanciare due differenti iniziative sul versante delle migrazioni. Ma questa volta non si parla di emergenza-profughi.
Il Collegio guidato da Juncker non vuole aggirare – e semmai ribadisce – l’ostacolo della prima accoglienza, dei barconi nel Mediterraneo, della rotta balcanica, degli insuccessi dei precedenti progetti sui ricollocamenti, sul controllo delle frontiere, sui rimpatri.
Gli Stati Ue, spaventati, marciano a ranghi sparsi e al massimo si possono arginare i problemi più immediati… Restano infatti tutti gli interrogativi sull’accoglienza dei rifugiati e sulla protezione internazionale.
Si impone però la necessità di guardare oltre, a monte (dove si origina il fenomeno migratorio) e a valle (l’integrazione di chi giunge in Europa per vie ufficiali per lavorare oppure chi ottiene il diritto alla protezione internazionale).
Migration compact, Blu card
Che fare, dunque? Timmermans, assieme all’Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini, illustra il Migration Compact, sostanzialmente un piano di investimenti per lo sviluppo socio-economico dei Paesi di origine e transito delle migrazioni, affinché i flussi siano prevenuti ed evitati.
Il commissario alle migrazioni, Dimitris Avramopoulos, dal canto suo mette sul tavolo un piano d’azione per sostenere gli Stati membri nell’integrazione dei cittadini di Paesi terzi, anche tramite la cosiddetta Blu card.
La proposta italiana: partenariati rafforzati.
Il Migration Compact consiste, sostanzialmente, in una serie di “patti” tra Ue e Paesi di provenienza dei migranti (senza una previa distinzione tra persone e popoli che fuggono dalla guerra o dalle persecuzioni, oppure dalla fame, dai disastri ambientali…), così da prevenire le migrazioni aiutando Stati africani e del Medio Oriente a imboccare la via dello sviluppo.
In una prima fase le nazioni coinvolte sarebbero Giordania, Libano, Niger, Nigeria, Senegal, Mali e Etiopia, Tunisia e Libia.
Federica Mogherini chiarisce: “Milioni di persone si spostano nel mondo, un fenomeno che riusciremo a gestire solo agendo a livello globale e in piena collaborazione. Per questo proponiamo un nuovo approccio finalizzato alla creazione di partenariati forti con Paesi strategici. Ferma restando la priorità di salvare vite in mare e smantellare le reti di trafficanti, il nostro obiettivo è stimolare la crescita nei nostri Paesi partner”. Aggiunge: “Siamo pronti ad aumentare il supporto finanziario e operativo e a investire nello sviluppo economico e sociale a lungo termine, nella sicurezza, nello Stato di diritto e nei diritti umani, nel miglioramento delle condizioni di vita delle persone e nella lotta contro le cause della migrazione”.
Bella idea, ma i soldi…
I “patti su misura”, sviluppati “in funzione della situazione e delle necessità di ciascuno Stato”, contano però al momento su cifre modeste, e da verificare.
Intanto sono a disposizione 500 milioni dal bilancio Ue, che potrebbero diventare 2-3 miliardi di euro, per passare, in cinque anni, a 8 miliardi. Poi, come sempre, la Commissione conta sull’impegno finanziario degli Stati membri, su un non ben definito “effetto moltiplicatore”, cui aggiungere gli investimenti dei partner africani o mediorientali (anche privati), per una cifra che lievita a 62 miliardi di euro!
Il Migration Compact (che ora passa al vaglio di Parlamento e Consiglio Ue) è un piano dettagliatissimo: benché, secondo molti eurodeputati, assomigli troppo all’accordo con la Turchia – soldi in cambio di migranti ripresi –, giudizio che l’Esecutivo respinge.
Timmermans del resto sa bene che “muri” e populismi attingono a piene mani dagli sbarchi incontrollati, dai migranti “irregolari”… Invita a “rispettare ogni vita umana”, ma subito ricorda che “le regole dell’asilo vanno rispettate, altrimenti si proceda con i rimpatri”.
Immigrazione legale, a beneficio di tutti.
Sempre a Strasburgo Dimitris Avramopoulos illustra le proposte per favorire l’immigrazione legale (di cui l’ingrigita Europa “ha bisogno”) nonché l’integrazione dei migranti che ottengono la protezione internazionale. “Interventi – chiarisce il commissario – che andranno a beneficio delle imprese europee che desiderano attirare persone di talento e qualificate da tutto il mondo”.
“Se vogliamo infatti gestire la migrazione sul lungo periodo, dobbiamo iniziare a investire ora; è nell’interesse di tutti”. Il sistema della Carta blu, risalente al 2009 e rivisto, “renderà più facile e appetibile per i cittadini di Paesi terzi altamente qualificati venire a lavorare nell’Unione”.
Il commissario assicura però che non si tratta di generare una “fuga di cervelli” dai Paesi poveri. Del resto, riflette a voce alta, “il costo della non integrazione sarebbe ben maggiore rispetto a quello degli investimenti – ad esempio in formazione – necessari per l’integrazione”.