In Italia da vent’anni, ora di nuovo clandestini
Martedì 28 giugno, Cgil, Cisl e Uil si sono dati appuntamento davanti alla sede della prefettura di Padova, in una giornata di mobilitazione nazionale, per chiedere al governo di estendere a due anni, rispetto ai 12 mesi attuali, il permesso di soggiorno per attesa occupazione. Tempo necessario, insomma, per reinserirsi nel mercato del lavoro in maniera regolare, senza dover abbandonare l’Italia o, ancor peggio, scivolare nella clandestinità e nel lavoro nero.
Roland impugna il microfono e, rivolgendosi ai passanti accanto alla tomba di Antenore, spiega i danni che la crisi economica ha causato non solo agli italiani, ma anche agli stranieri che, senza lavoro, vedono in bilico il loro regolare permesso di soggiorno.
Roland viene dal Camerun e si è trasferito in Italia nel 1997: per quasi vent’anni ha lavorato nel settore industriale e, ora, si fa portavoce dei tanti immigrati, alcuni come lui residenti da decenni, il cui futuro è sempre più instabile.
Martedì 28 giugno, Cgil, Cisl e Uil si sono dati appuntamento davanti alla sede della prefettura di Padova, in una giornata di mobilitazione nazionale, per chiedere al governo di estendere a due anni, rispetto ai 12 mesi attuali, il permesso di soggiorno per attesa occupazione.
Tempo necessario, insomma, per reinserirsi nel mercato del lavoro in maniera regolare, senza dover abbandonare l’Italia o, ancor peggio, lasciarsi tentare dalle mani sporche del lavoro nero.
«La possibilità di allungare il permesso a 24 mesi – sottolinea Alessandra Stivali, segretario provinciale Cgil – è essenziale quanto l’aria che respirano perché, quando uno di loro perde il lavoro, rischia di non avere il tempo e gli strumenti necessari per cercarne uno nuovo entro i margini stabiliti. In questo complesso periodo, nel quale il mercato è saturo, in migliaia rischiano di perdere il permesso e sono costretti a staccarsi dalla famiglia spostandosi in un’altra nazione. È un problema sociale, non solo lavorativo, perché interi nuclei familiari così si disgregano».
Prima della crisi economica, in Italia, il tasso di disoccupazione degli stranieri era attorno al due per cento; adesso, secondo gli ultimi dati, ha toccato quota 17.
I 12 mesi attualmente disposti per legge per trovare una nuova occupazione non sono sufficienti e le questure non applicano in maniera omogenea le indicazioni del ministero dell’interno che consentono il rinnovo del permesso, oltre il limite di un anno, in presenza di un reddito non inferiore all’importo dell’assegno sociale, ovvero circa 5 mila euro annui: «Attualmente non ci sono regole uniformi e certe per gli immigrati in cerca di occupazione e questo sta provocando delle ricadute sulle stesse industrie che vedono i lavoratori stranieri trasferirsi in paesi più strutturati per l’accoglienza del singolo e delle intere famiglie – spiega Davide Crepaldi della Uil – Competenze e professionalità emigrano all’estero e, quando finalmente vedremo all’orizzonte la ripresa, probabilmente non avremo manodopera a sufficienza da impiegare nelle aziende pesanti».
Chi decide di non abbandonare l’Italia rischia, invece, di trovarsi invischiato nel lavoro nero
Un’arma pericolosa, una forma di schiavitù a tutti gli effetti, estremo atto di chi prova a racimolare qualche soldo: «Quando perdono il titolo di soggiorno, gli stranieri non spariscono, ma rimangono qui nella clandestinità e nell’irregolarità – commenta Fabio Graziotto della Cisl – Pensiamo al caporalato in agricoltura che attrae anche chi vive nel nostro paese da anni, con figli nati e cresciuti nelle nostre città. Ci sono veri e propri sistemi criminali che sulla disperazione della gente lucrano e allungano le fila del lavoro sommerso».
Lo scorso marzo il ministero dell’economia ha calcolato che 600 mila italiani ricevono la pensione grazie ai contributi versati dagli stranieri: un dato significativo, come le 525 mila imprese condotte da lavoratori immigrati, il 10,1 per cento delle aziende del centro-nord.
Lo sa bene Roland che, microfono ancora in mano, prendendo fiato poche volte, continua il suo appello, mentre suoi connazionali e altri stranieri impugnano bandiere e distribuiscono volantini a chi si ferma a guardare: «Non vogliamo diventare merce per lo sfruttamento e non siamo nemmeno dei mantenuti, come qualcuno sostiene disinformando i cittadini. È un idea sbagliata: noi siamo dei lavoratori e, in quanto tali, possiamo e vogliamo essere una risorsa in più per questo paese».