VI domenica del tempo ordinario * 16 febbraio 2014
Matteo 5, 17-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».
La legge ha un cuore
Poco tempo fa il nostro sistema radiotelevisivo è passato dall’analogico al digitale: sempre di programmi televisivi si trattava ma con una modalità di trasmissione e ricezione completamente diversa, con una qualità e ampiezza di possibilità tutte nuove. Per accedere a quel nuovo “mondo” occorreva un decodificatore. In modo analogo – e perdonatemi la similitudine così terra-terra – Gesù porta una vita nuova, piena… ed egli stesso, nello Spirito, mette in grado di captare il messaggio divino che lavora a una intensità più elevata e potente; e soprattutto ci “sintonizza” a un livello più alto e vero della nostra umanità. Il seme porta all’albero e l’albero al fiore e il fiore al frutto: tutto il seme serve per il frutto. Gesù analogamente svela il senso pieno della Scrittura, del primo testamento: amplia, approfondisce e in definitiva porta al cuore. «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito» (cfr. seconda lettura).
Oltre l’osservanza esteriore, c’è una trasformazione totale del modo di essere e di pensare. Il cuore di cui parla spesso la Scrittura non è affatto il mondo zuccheroso e labile dove regna il sentimentalismo: il cuore unisce il sentimento alla forza della volontà e alla lucidità dell’intelletto. Il cuore di tutta la legge è la legge del cuore, non si tratta solo di uno slogan accattivante: la strada è rendere integralmente osservante il cuore, da cui sorgono emozioni e sentimenti, pensieri e atti di volontà.
Troppo? Gesù chiede forse troppo? Molti se lo saranno chiesto. Tanto egli ci ama e si fida, tanto ci stima e considera da chiedere molto: le sue parole sono esigenti perché dischiudono le altezze a cui ogni persona, innestata in Lui, può giungere. «Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno; se hai fiducia in lui, anche tu vivrai. […] A ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà» (cfr. prima lettura).
Se si ha scarsa considerazione di una persona, delle sue doti e della sua maturità, non si esigerà molto. All’opposto si comporta il maestro di Nazaret: quel che esige mostra in modo luminoso di quali meraviglie d’amore sia capace l’essere umano che confidando in lui si lascia guidare dallo «Spirito che conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio».
Scatenarsi è incatenarsi Gesù inizia a dipingere le meraviglie di una vita piena e nuova da un punto preciso da superare, l’ira: chi la s-catena e si s-catena lasciandole campo libero, si ritrova in-catenato, schiavo. Anche se ci si giustifica perché non si alzano le mani.
Non basta astenersi dalla violenza fisica infatti: il cuore del «non uccidere» è il non pensare il male, anche quando è l’altro che ha qualcosa contro di te. È scritto «Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario»: letteralmente Gesù comanda in questo versetto 25 “sii bene pensante”, “pensa bene”, sradica dalla testa la gramigna dell’ira che tende sempre a espandersi, inquinando non solo la mente. Più che trattare una non belligeranza o sfibrarsi in mille discussioni cercando affannosamente che l’altro giunga al nostro stesso desiderio di riconciliazione, l’importante è permettere allo Spirito santo di cambiarci, di trasformarci in quei miti che sono beati perché erediteranno la terra.
Da notare che l’avversario non porta solo guai: è colui che in fondo ti misura, come i parametri che si mettono a fianco dei dati di un esame del sangue, permettono di capire quanto sei malato d’ira o meno.
Perché Gesù parte proprio da qui, dal pensare cattivo, contro il prossimo? «Desisti dall’ira e deponi lo sdegno, non irritarti: non ne verrebbe che male; perché i malvagi saranno eliminati, ma chi spera nel Signore avrà in eredità la terra» (Sal 37, 8s). Secondo il salmo l’ira alla fin fine genera solo male, infelicità, dolore. Non risolve anzi ingarbuglia, rende inefficace la preghiera. Domenica prossima ne sapremo di più.
Strisce pedonali
Ripetuti colpi di clacson, stridio di freni e gesti di esagerata impazienza dall’interno dell’abitacolo, probabilmente accompagnati da una sequela di improperi. Una mamma con un bimbo stanno andando alla scuola materna e mentre attraversano le strisce pedonali un’auto sopraggiunge a forte velocità inchiodando all’ultimo momento, con relativa ira da parte del conducente. Era in ritardo nel tragitto per il lavoro, c’era qualche emergenza, solo un risveglio molto difficile, chissà la ragione di quella impaziente aggressività. Prendiamo atto della mole di rabbia che circola nella società di adesso, così pressata dalla fretta, esposta allo stress, dominata dal dovere di competere. Anche la comunicazione di massa insiste su questi tasti: per farsi sentire sembra occorra urlare contro qualcuno o qualcosa, alzare i toni o compiere gesti eclatanti. Difendersi da tutto ciò è mettersi su un altro piano, passare a uno stile di vita diverso, sostanziato di momenti di preghiera intensa e autentica, innervato da gesti semplici e concreti di solidarietà. Ci smarriamo nei risvolti della vita di tutti i giorni, mentre siamo d’accordo sui massimi principi.