PASQUA *Domenica 20 aprile 2014
Giovanni 20, 1-9
Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba. Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte. L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto». Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».
Sangue di fuoco
È un nuovo inizio: l’alba di un giorno che ha cambiato per sempre ogni cosa. Nelle vene stanche e fragili della storia scorre sangue di fuoco, la Pasqua. L’apparenza ci consegna un mondo dove cinismo, ingiustizia e violenza sembrano vincitori, dove non di rado i figli di Dio sono calpestati o dimèntichi della loro dignità: nel cuore ti sorge il dubbio, dopo duemila anni dalla resurrezione è tutto rimasto come prima? No. Sotto la cenere cova, invincibile, la brace ardente che trasfigurerà il cosmo e noi. È brace e lievito, è seme che cresce oltre calcolo e previsione, è virgulto che appare inatteso dove tutto sembrava morto stecchito. Nella lingua greca il saluto di Gesù alle donne è il medesimo dell’angelo Gabriele a Maria di Nazaret. La promessa a Maria si è compiuta con la risurrezione: «Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,32). Il mondo nel segno della resurrezione è il regno che non avrà mai fine.
Nero, umido, cavo
Corriamo a testa bassa verso l’abisso del nulla e del non senso? C’è un macigno enorme a rinchiudere l’umanità in un destino di tomba?
Vecchierel bianco, infermo, Mezzo vestito e scalzo, Con gravissimo fascio in su le spalle, Per montagna e per valle, Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte, Al vento, alla tempesta, e quando avvampa L’ora, e quando poi gela, Corre via, corre, anela, Varca torrenti e stagni, Cade, risorge, e più e più s’affretta, Senza posa o ristoro, Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva Colà dove la via E dove il tanto affaticar fu volto: Abisso orrido, immenso, Ov’ei precipitando, il tutto obblia. Vergine luna, tale È la vita mortale. (Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia).
Questa la constatazione gelida del poeta. Tutt’altro è il canto di Pasqua, che pure sgorga da una tomba, da una presenza di Gesù che emerge proprio dall’assenza: «Non è qui». Nero, umido, cavo: aggettivi che si addicono sia a un sepolcro nella roccia che all’utero. La tomba dice una fine, l’utero è ponte lanciato verso una nuova vita. Il sepolcro del Cristo è allora l’utero di rinascita del cosmo. L’alleluia pasquale è vagito colmo di gioia; il sisma è come il travaglio del parto; le chiese dove risuona l’Exultet sono la sala parto in cui madre chiesa celebra la vita che non si lascia paralizzare dalla morte.
Questa non è notte
Ancora con le parole di un poeta:
Questa non è notte, se donne in segreto preparano aromi, se le piante mettono gemme di luce.
Questa non è notte, se sale la luna al colmo, se mondato è il cuore. Questa non è notte, se profuma l’azzurro appena percosso dal vento di primavera, se desti vegliano i sensi, come uccelli non appisolati sul ramo. Questa non è notte, se gonfia è la terra di luce sepolta, in attesa dell’alba, se chino, l’orecchio ode un rotolio profondo di pietre smosse. Questa non è notte, se rosseggia in letizia la sacra brace crepitante, se, nel buio ardente, partorisce il silenzio i freschi vagiti dell’alleluia...
Questa non è notte! (padre Davide Maria Montagna)
Vita risorta
«Voi non abbiate paura»: la paura rende come morti, come capita alle guardie che invano sono poste davanti al sepolcro di un Cristo che quasi fa più paura da morto che da vivo. Lo insegna il nostro corpo di carne: quando si lascia vincere dalla paura si contrae e duole; a lungo andare nasce scompiglio negli organi interni e si mozza il giro del respiro. La risurrezione più che annunciare un futuro, svela però il senso del presente: ci dona la grazia di vivere da risorti, qui e ora, perché ben consapevoli di quale sarà l’ultima parola. Morte e male sono parole penultime!
Pissacan (taraxacum officinale)
Qualche tempo fa una sezione della scuola materna è stata portata dalle maestre sull’argine del Bacchiglione. I bambini sono rimasti colpiti da un’erba un po’ particolare: il suo nome è tarassaco; lo si conosce anche come dente di leone o soffione (pissacan in dialetto). Quando la maestra prese un soffione e con delicatezza soffiò, il soffione si scompose subito in tanti piccoli ciuffetti di peli bianchi che se ne sono volati in giro. I bambini hanno in coro reagito con un bel «Ohhhhh» e sgranando gli occhi. Per loro era uno spettacolo strepitoso. Mi sono fermato a fissare quegli occhi pieni di stupore, a sentire quell’esclamazione così spontanea! Questa santa Pasqua di risurrezione colmi cuori, occhi e orecchie di stupore, senza che ci lasciamo sopraffare dalle difficoltà e sofferenze che notiamo. Che fine ha fatto la tua capacità di vero e genuino stupore per la bellezza semplice ma vera? L’invito è di sperimentare la gioia di sapere che tutta la nostra vita si rinnova fino a superare i limiti della morte, nel dono fatto dal Risorto.