NATALE DEL SIGNORE - MESSA DELL’AURORA *25 Dicembre 2014
Luca 2, 15-20
Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Cuore
«Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». Maria, il tuo silenzio parla più di qualsiasi parola: accogli e raccogli ogni gesto e ogni parola dentro lo spazio del tuo meditare. Dopo aver dialogato con l’angelo e con Elisabetta, dopo aver cantato il Magnificat, non hai bisogno di proferire parole. Il tuo è un silenzio pieno e denso, non come quello dell’inerzia e dell’indifferenza in cui talvolta scivoliamo. Capita a molti di sentirsi come dentro una grande centrifuga, a rischio di dispersione a causa della fretta, dell’urgere degli impegni: avvertiamo la bellezza e la pace del tuo fare tesoro e “spremere” i fatti che, con stupore, vedevi fiorire attorno a te, per farne uscire “l’olio di esultanza”, il profumo e il sapore dell’amore di Dio, così vicino ai suoi figli. «Generazioni e generazioni esprimeranno in te l’esultanza» (Tb 13,13), questo diciamo di te. Maria è immagine viva del sapiente, e quanto abbiamo bisogno di questa sapienza: «Beato l’uomo che si dedica alla sapienza e riflette con la sua intelligenza, che medita nel cuore le sue vie e con la mente ne penetra i segreti. La insegue come un cacciatore, si apposta sui suoi sentieri. Egli spia alle sue finestre e sta ad ascoltare alla sua porta» (Sir 14,20-23). In concreto, meno chiacchiere e più raccoglimento; meno dispersione e più ascolto.
Senza indugio
I pastori, pronti e attivi, si mettono in cammino e cercano, riferiscono, lodano e glorificano. Il loro non è solo un viaggio con i piedi: è il cammino di ogni credente, ispirato e smosso dallo Spirito, verso l’incontro con la vita della vita. Cercano perché sono stati cercati. La loro fede è all’insegna della libertà e della sollecitudine: «senza indugio» non è solo avverbio di tempo, è anche avverbio di modo (con cura, attenzione e premura). Ecco il volto di credenti che hanno incontrato la Grazia e si muovono con grazia, oserei dire con eleganza. «Riferirono»: hanno bisogno di parole accurate per dire quanto sono rimasti sorpresi, per testimoniare l’esperienza. È la molla della missione: riferire non brillanti costruzioni teologiche ma un evento, un incontro. E riferendo scandagliano meglio la profonda verità loro annunciata. Esperienza umanissima: mentre ti racconto qualcosa di importante mi accorgo che lo comprendo più a fondo. Come la chiesa... che evangelizzando intende meglio il vangelo. «Glorificando e lodando»: non sono e non si sentono al centro della scena; il cuore e il canto puntano a quel Dio immenso nell’amore che i loro occhi intuivano. Dopo aver fissato con tenerezza lo sguardo sul fragile bimbo, re dell’universo, immagino i pastori come i protagonisti della prima liturgia natalizia. Insolita ma autentica e splendida: sono i primi a celebrare il Dio fatto uomo; una sorta di prima messa di mezzanotte! Più «vera» di certe nostre messe.
In questa notte
Natale è notte di stupore, lo fa intendere bene colui che è stato definito «cetra dello Spirito santo». Questa è notte di riconciliazione, non vi sia chi è adirato o rabbuiato. In questa notte, che tutto acquieta, non vi sia chi minaccia o strepita. Questa è la notte del Mite, nessuno sia amaro o duro. In questa notte dell’Umile non vi sia altezzoso o borioso. In questo giorno di perdono non vendichiamo le offese. In questo giorno di gioie non distribuiamo dolori. In questo giorno mite non siamo violenti. In questo giorno quieto non siamo irritabili. In questo giorno della venuta di Dio presso i peccatori, non si esalti, nella propria mente, il giusto sul peccatore. In questo giorno della venuta del Signore dell’universo presso i servi, anche i signori si chinino amorevolmente verso i propri servi. In questo giorno, nel quale si è fatto povero per noi il Ricco, anche il ricco renda partecipe il povero della sua tavola. Oggi si è impressa la divinità nell’umanità, affinché anche l’umanità fosse intagliata nel sigillo della divinità. (Inno sul Natale di sant’Efrem il Siro)
A 87 anni
«A 87 anni mettersi a piantare un ciliegio, due noci e un amareno! Ma come ti è venuto in mente? Cosa gheto pa ea testa?». Così parla la moglie – ammalata – di un anziano signore, fingendo di essere spazientita, mostrando nel volto, invece, compiacimento e approvazione. Mi imbatto in questa scenetta di vita familiare nella visita natalizia agli ammalati: è un inno alla vita che non cede alla rassegnazione, è la scelta di non ridurre il presente all’attesa dell’inevitabile. In fondo il Natale cade in inverno ma porta nascosta in sé la luce della primavera. Prende senso compiuto dalla Pasqua. Natale celebra la forza e la bellezza di un nuovo inizio: l’umanità – abituata a dare alla luce vite destinate alla morte – ora scopre che nasce una vita che romperà questo prigionia. Nasce per annunciare e rendere partecipi della vita che non ha tramonto, dell’immortalità. «Giustificati per la sua grazia, diventiamo, nella speranza, eredi della vita eterna», così la seconda lettura. Triste e faticosa la vita delle persone che sono abbandonate ed isolate, ci capita di incontrarne. Oggi a tutti e ciascuno è detto che «arriva il salvatore… tu sarai chiamata “ricercata”» (cfr prima lettura). Mettiamoci in movimento – senza indugio come i pastori – e lasciamoci raggiungere dall’amore di Dio.