IV Domenica di Pasqua *Domenica 17 aprile 2016

Giovanni 10, 27-30

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Sì, no, non m’interessa

La quarta domenica di Pasqua, proponendo la figura di Gesù Buon pastore, è la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, con titolo quest’anno “La chiesa, madre di vocazioni”. I versetti del vangelo scelti per la liturgia sono in sé “incompleti” in quanto presentano solamente la risposta di Gesù alla richiesta (non riportata) di alcuni giudei di dire apertamente se egli è il Cristo, il Messia tanto atteso. Avendo Gesù risposto affermativamente («Le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me») scatta la contestazione, pietre alla mano: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio» (Gv 10,33). Insomma, se c’è chi ascolta la voce del Maestro e lo segue (la seconda lettura, tratta dall’Apocalisse, parla degli eletti come di «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua») e c’è chi rifiuta anche violentemente l’annuncio (la prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli, racconta che «i Giudei (di Antiochia di Pisidia) sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li cacciarono dal loro territorio»). Anche ai nostri giorni, quanti cristiani perseguitati in quanto cristiani... E chi lascia cadere la domanda, chi sceglie di sospendere ogni interrogativo ultimo e si proclama indifferente? Forse è il fenomeno che mette maggiormente in scacco i credenti e la chiesa nel suo complesso: quella vita eterna, cioè piena, profonda e autentica (qui eterna non è aggettivo di tempo ma di qualità) donata dal Cristo, semplicemente sembra non interessare. Sottolineo il “sembra”: al di là delle dichiarazioni agnostiche, del disinteresse affermato, chi conosce cosa si agita davvero nel profondo di una persona? Quali spiragli di valori umani restano aperti per il lavorio segreto dello Spirito? In fondo il disinteresse, non meno di una critica serrata, dovrebbe spingere il credente ad approfondire e confermare la sua scelta: pure l’indifferente ha «diritto» a ricevere da chi è credente una testimonianza credibile e convinta. Infatti «Dio, nostro salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4). Tutti... anche coloro che dicono di non sapersene che fare di Dio.

Conoscenza

«Conosco le mie pecore» afferma il Buon pastore. Se per noi conoscere è attività della mente, qui è realtà molto più ampia ed intensa, sulla scia dell’Antico testamento, già dalle prime pagine, in cui varie volte «conoscere» è eufemismo che indica l’amore fra l’uomo e la donna da cui può nascere una nuova vita (cfr Gn 4,1.17.25). Gesù mi conosce quindi perché mi ama senza condizioni, non come uno fra i tanti; con me intreccia una relazione unica e personale, che ha la forza di trasformarmi, se glielo permetto, se accetto di seguirlo. Mi conosce amandomi e grazie al suo amore nasce poco alla volta in me «l’uomo nuovo» di cui parla san Paolo nelle sue lettere, l’essere umano vivificato dall’azione dello Spirito santo. In sintesi il cammino del cristiano è ricevere incessantemente lo Spirito Santo del perdono e della pace (cfr Gv 20 letto la seconda domenica di Pasqua) finché Cristo non sia formato in noi (cfr Gal 4,19). Col sommo poeta potremmo dire «trasumanar» (vedi il commento a fianco).

Casa Trinità

«Le mie pecore non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano»: questa cura e protezione coinvolgono anche i collaboratori del Buon pastore, cioè diaconi, preti e vescovi, che devono essere sua trasparenza nella chiesa di oggi. I pastori sono tali perché prima di tutto sono tra le pecore che ascoltano, obbediscono e seguono il Cristo. Mi sento particolarmente addolorato quando vengo a sapere di un guaio, di uno scandalo che con sicurezza e certezza (ci sono in giro anche calunnie e accuse montate ad arte) hanno per colpevole un pastore: il danno è grande. La nostra diocesi non ne è certo immune. Preghiamo con intensità per i pastori, sollecitiamoli con fraterna schiettezza evitando di fare il tiro al bersaglio sulle loro fragilità. «Io e il Padre siamo una cosa sola»: in questa unità fra Padre e Figlio c’è posto per noi, perché la vita di Dio è sempre inclusiva, mai esclusiva. Al contrario, ad esempio, di quelle coppie e famiglie in cui stare uniti significa escludere gli altri: «Io e te stiamo stretti stretti, ci coccoliamo e difendiamo, il resto del mondo può andare a ramengo». A “casa Trinità”, fucina d’amore e di unità, posto c’è per tutti, senza perdere quel volto originale e irripetibile che rende unici.

Transumanza/trasumanar

Sugli argini del Bacchiglione, dove si adagia la mia parrocchia, m’è capitato di assistere alla transumanza, la «migrazione stagionale delle greggi, delle mandrie e dei pastori che si spostano da pascoli situati in zone collinari o montane (nella stagione estiva) verso quelli delle pianure (nella stagione invernale) percorrendo le vie naturali dei tratturi» (Wikipedia). È un immagine congrua con questa domenica del Buon pastore ma alquanto rara: i ragazzi d’oggi vedono le pecore in carne e ossa quando fanno le visite guidate alle fattorie didattiche. Giocando con le parole, lego assieme transumanza e trasumanare. Ascoltando e seguendo il Buon pastore i battezzati compiono una transumanza che va in una sola direzione, trasumanare. Cioè andare dalle bassure e dal piatto della pianura (il vivere secondo l’ego, inconsapevoli di essere figli dell’Altissimo) al monte della Trasfigurazione dove appare in piena luce che, seminati in noi, ci sono cromosomi divini. Che siamo impasto di terra e cielo. Trasumanar, verbo forgiato da Dante Alighieri a inizio del Paradiso, è proprio questo: aprirsi agli orizzonti alti della nostra vocazione, perseguire la misura alta della vita cristiana, che è la santità. 

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)