Ascensione del Signore *Domenica 17 maggio 2015

Marco 16, 15-20

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

La meta

Quando una persona cara se ne parte da noi, siamo dispiaciuti. Invece la liturgia della solennità dell’Ascensione pone questo evento sotto il segno della gioia: «Esulti di santa gioia la tua chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te». È la gioia santa di chi si sente completamente rassicurato sul fine, sulla meta del proprio andare. Il Signore ha portato dentro al mistero d’amore di Dio la sua esperienza di vero uomo; e noi comprendiamo che il susseguirsi dei nostri giorni è sempre e comunque un avvicinarci all’incontro faccia a faccia, pieno e meraviglioso, con l’Amore di Dio. Siamo fatti per il cielo, per essere alla destra della destra di Dio, accanto a Gesù (cfr il vangelo del giudizio finale, Mt 25,34: «Il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo»). E il cielo non è un luogo fisico, naturalmente: è il profondo, è il cuore ed il centro di quel vortice d’amore che è la Trinità. Là sei diretto, giorno per giorno, anno dopo anno, perché tutta la tua esistenza terrena trovi la sua verità. Cammini verso questo cielo che non ha luogo e comprende tutti i luoghi e tempi.

Rimprovero

Senza il versetto che precede questo brano evangelico ci viene a mancare una chiave di lettura importante. «Apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto». Si tratta di un rimprovero duro: lo stesso verbo designa gli scherni oltraggiosi rivolti a Gesù nella sua passione da chi gli era crocifisso accanto (cfr Mc 15,32). La seconda lettura esorta: «Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto»; non è quel che fanno gli Undici! E gli Atti nella prima lettura sono onesti nel riportare la domanda fuori luogo che «quelli che erano con Lui» rivolgono al Risorto: dopo un tirocinio di tre anni quanto ancora restava loro da comprendere!

Sproporzione

Ancora una volta emerge la forte sproporzione fra il compito che è affidato e l’affidabilità di noi umani. La chiesa è proprio questo, e quanto me ne rendo conto considerando l’umile vita delle parrocchie, gli interrogativi sulla mancanza di operatori pastorali debitamente convinti e formati, i limiti dei pastori, l’opacità dell’istituzione, l’interrogativo sul come muoversi pastoralmente... La chiesa è un continuo lasciare che sia lo Spirito santo a rivestirci di potenza dall’alto («Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni», prima lettura). Il compito chiaramente ci supera, in sé e relativamente alla nostra affidabilità. E tuttavia Dio sceglie di non fare senza di noi: «A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo» nota san Paolo nella seconda lettura.

Missione

«Andate, proclamate, battezzate»: è un trittico di verbi che disegna le coordinate di una chiesa in uscita che non si chiude, che si schioda da percorsi sicuri ma ripetitivi, che s’arrischia e non vive rassegnata. Ci sono dei segni che accompagnano la parola e non viceversa: perché a volte si va alla ricerca del fatto grandioso, dell’emozione straripante, di ciò che emoziona ma al centro deve stare la potenza della Parola. C’è chi non crede, vi sono veleni da bere indenni e serpenti da prendere in mano: la missione smaschera anche il lato oscuro del mondo. La missione è infatti buona battaglia contro il male. La missione porta allo scoperto colui che invece di proclamare la buona notizia che siamo figli di Dio sempre amati ci induce a vivere dimenticando questa verità luminosa. O ci abbindola così che cerchiamo la presenza di Dio nel posto sbagliato, come i discepoli che stavano con il naso all’insù dopo l’ascensione di Gesù. L’amore di Dio lo incontro e testimonio andando nella città degli uomini, stando in mezzo a loro, marchiato dentro di una straordinaria nostalgia di cielo (cfr At 1,12-14).

Tandem

Chi ha avuto occasione di fare un giro in tandem sa che almeno all’inizio non è così facile coordinarsi. Sporgendosi in curva si condiziona molto la stabilità anche del compagno; il ritmo della pedalata non sempre è agevole da sincronizzare... Ma quando scatta un certo affiatamento, si raggiungono delle prestazioni interessanti. Si taglia la resistenza dell’aria più efficacemente. Il vangelo di Marco parla del “Signore che agiva assieme con gli Undici” e spero non sia irriguardoso paragonare ciò a una bella corsa in tandem. L’originale greco parla di sinergia: quella condizione in cui non c’è solo somma di risorse e sforzi e competenze ma moltiplicazione di tutto ciò. Una parte della fatica della vita cristiana e della pastorale sta qui: nell’evitare di fare corse per il vangelo in solitaria, mettendo al centro progetti e pensieri molto nostri e poco suoi. Se ho scarso discernimento, se metto al centro il mio ego – sia pure sotto copertura delle più nobili motivazioni – alla fine non sono radicato nell’opera di Dio, di cui devo semplicemente essere cooperatore efficace e umile. Servi il vangelo senza servirti del vangelo per rincorrere scopi, percorrere strade, darti obiettivi chiusi dentro il tuo umano orizzonte.

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