Vocazione famiglia, Bethesda è la “casa della misericordia”
Quattro coppie stanno ristrutturando a Padova un casolare in via Adige (quartiere Sacro Cuore) dove formeranno la comunità Bethesda con l’obiettivo di costruire, nella quotidianità della loro vita, un luogo accogliente e misericordioso per persone che soffrono le diverse solitudini e povertà del nostro tempo.
Sveglia alle 5.30 del mattino, colazione tutti intorno al grande tavolo in cucina e poi subito in macchina per raggiungere la scuola e il lavoro.
Inizia così una giornata tipo della famiglia Marangoni: papà, mamma e quattro figli. Da quando, 20 anni fa, Mauro e Chiara si sono incontrati vivono il loro essere coppia come una vocazione che li sta conducendo verso qualcosa di altro che è a loro ancora misterioso ma che percepiscono come giusto.
«Vocazione – spiega Mauro – come il modo migliore che abbiamo per incontrare il Signore e vivere una vita piena di gioia. Quando ci siamo conosciuti, a 18 anni, abbiamo riconosciuto una chiamata che ogni giorno ci chiede di superare l’individualismo e metterci in relazione con l’altro. Ogni volta che ci spingiamo oltre le nostre certezze, arricchiamo il nostro bagaglio di esperienze, potenzialità e creatività e riusciamo a fare cose che prima non avremmo mai immaginato».
Una chiamata che Mauro e Chiara ritengono essere parte dello “stato permanente di missione”, come ha scritto papa Francesco nella Evangelii Gaudium, in cui un cristiano vive fin dal battesimo e che si declina in modi diversi in ogni fase della loro vita.
È stata missione ad gentes nel 2011 quando sono partiti insieme ai loro figli (Giosuè di tre anni e Pietro di poco meno di un anno e mezzo) per il Kenya dove, fino al 2013, hanno vissuto presso la comunità del Saint Martin, l’opera creata dai fidei donum della chiesa di Padova a tutela degli ultimi e dei disabili.
In missione Chiara ha partorito la sua terzogenita, Teresa, vivendo l’esperienza unica di essere mamma diversa dalle madri africane perché occidentale, ma uguale a loro nell’atto del generare.
«Il Kenya – racconta Chiara – ci ha mostrato tutto il nostro limite e ci ha costretti ad andare nel profondo di noi stessi. La missione è stata per noi una grazia perché ci ha fatto uscire dal mondo che conoscevamo e rimanere da soli in un luogo dove eravamo stranieri. Abbiamo provato cosa vuol dire essere considerati extracomunitari e sappiamo che non è facile».
Un’esperienza unica dalla quale è stato difficile rientrare, ma che hanno superato nella consapevolezza di essere chiamati alla missione dell’ascolto dell’altro anche nella vita quotidiana, come genitori, vicini di casa o colleghi di lavoro.
«Perché – prosegue Mauro – vogliamo essere una famiglia nel mondo e non del mondo. Crediamo che nessun essere vivente sia nato per stare da solo. È vitale incontrarsi e scambiarsi esperienze, storie e cultura. Il cammino che abbiamo fatto ci ha resi diversi dal modello individualista di famiglia che la società propone oggi».
«La nostra esperienza di fede ci apre agli sguardi del prossimo, che è sicuramente diverso da noi, e ci invita ad accoglierlo. Andando nel mondo si comprende cosa è la chiesa universale dove c’è spazio per tutti e dove ognuno porta all’altro il proprio vissuto».
Il progetto Bethesda
Nell’estate 2014, dopo l’incontro con padre Paolo Bizzeti (oggi vicario apostolico dell’Anatolia in Turchia) che in Italia aveva avviato alcune comunità di famiglie, Mauro e Chiara, insieme ad altre tre famiglie, hanno intrapreso una nuova missione: il progetto Bethesda che in ebraico vuol dire “casa della misericordia”.
Le quattro coppie stanno ristrutturando a Padova un casolare in via Adige (quartiere Sacro Cuore) dove formeranno la comunità Bethesda con l’obiettivo di costruire un luogo accogliente e misericordioso per persone che soffrono le diverse solitudini e povertà del nostro tempo.
«Il casolare – spiega Mauro – si compone di quattro appartamenti distinti che ogni famiglia sta ristrutturando in autonomia, sia progettuale che economica, e di una zona comune con una cappella, un luogo intimo di canto, preghiera e meditazione; un’area polivalente adibita a sala incontri per associazioni e promozione sociale e un appartamento per l’accoglienza che gestiremo insieme ad altre associazioni come per esempio la Caritas».
Le spese di realizzazione della zona comune del casolare, pensata come un luogo dove sviluppare progetti della comunità cittadina, sono sostenute per una parte dalle quattro famiglie e per il rimanente da donazioni volontarie di singoli o associazioni.