Sulla pelle dei migranti
Due bambine, dodici donne, tre uomini. Sono loro le prime vittime accertate del naufragio di lunedì scorso nel canale di Sicilia, ma l’esatta contabilità delle tragedie che si susseguono nel Mediterraneo non la sapremo mai. Il mare inghiotte i corpi a centinaia, e di solito non li restituisce più. Ciò che accade ormai da troppi anni è un lutto collettivo che pesa sulle coscienze del mondo intero.
Sbarchi e naufragi sono solo l’ultima tappa di un disastro economico, sociale, politico che si genera nel cuore del continente africano e che approda sulle spiagge di Lampedusa, di Malta, della Sicilia. Ha alle spalle secoli di schiavitù e di sfruttamento coloniale, decenni di abbandono alla povertà e al sottosviluppo. Ciò che resta da fare, oggi, a chi vive in vari paesi africani dove mancano cibo, medicine, scuole, libertà e prospettive di futuro, è tentare di scappare, sperando di trovare una mano tesa, un po’ di dignità, un lavoro.
La politica, a prescindere dal giusto richiamo dell’Unione Europea a una responsabilità condivisa, dovrebbe partire da qui, nelle sue analisi. E dovrebbe avere il coraggio di usare il vocabolario della responsabilità e della consapevolezza, per aiutare un’opinione pubblica legittimamente disorientata. Regolamentare è indispensabile, ma pensare che una legge o l’uso della forza possano fermare un fenomeno epocale come quello delle migrazioni significa solo speculare sulle emozioni. Il corso della storia non si inverte presidiando militarmente le frontiere, e chiudendo gli occhi sulle cause che spingono migliaia di persone a rischiare la vita.
La stessa responsabilità ci sarebbe piaciuto vederla anche a livello locale. E invece, alla richiesta di accogliere alcune decine di profughi, tutti i comuni della provincia di Padova hanno risposto sbattendo la porta. Non si presentano nemmeno ai tavoli di lavoro convocati dal prefetto, tanto ritengono la materia “indigeribile” in periodo elettorale. Alla fine, grazie all’impegno di Caritas e Confcooperative, sessanta persone hanno trovato accoglienza: privilegiando gli inserimenti “micro”, poche persone per ogni luogo in modo da rendere più facili i percorsi di integrazione ed evitare il rischio di tensioni. Poteva andare meglio, ma pazienza. Ci permettiamo solo un auspicio: in questi ultimi giorni che ci separano dal voto, per l’Europa e per i sindaci, nessuno tenti di raccattare voti sulla pelle dei migranti. I temi su cui discutere non mancano. Su questo, sarebbe utile una moratoria. Almeno per rispetto di quei giovani uomini, di quelle mamme e di quei bambini che il mare ha sepolto per sempre, assieme al loro sogno di una vita normale.