Quei piedi lavati dal papa richiamano il senso cristiano della vita
Papa Francesco ci ha abituato a gesti significativi e a scelte inedite. Ma scegliere i profughi per la lavanda dei piedi del giovedì santo ha dell’incredibile. È un gesto che spiazza non solo chi dice di essere cristiano, e poi fa il contrario nelle scelte politiche ed elettorali, ma anche chi è cristiano e lascia fuori pezzi importanti di fede vissuta, come quello di mettere al primo posto gli ultimi.
Papa Francesco ci ha abituato a gesti significativi e a scelte inedite.
Ma scegliere i profughi per la lavanda dei piedi del giovedì santo ha dell’incredibile. Può sembrare un gesto a effetto, che prende in contropiede chi trova abbastanza normale tenere a distanza gli immigrati, parlarne male, difendersi da loro.
È un gesto che spiazza non solo chi dice di essere cristiano, e poi fa il contrario nelle scelte politiche ed elettorali, ma anche chi è cristiano e lascia fuori pezzi importanti di fede vissuta, come quello di mettere al primo posto gli ultimi.
L’antidoto per non lasciarsi disturbare troppo da questo gesto del papa è già stato trovato: basta dire che il papa fa “il suo lavoro”, e che per forza deve fare quello che fa.
La vita concreta, però, è un’altra cosa: i politici devono fare leggi che contrastano l’arrivo dei migranti; la gente ha bisogno di sicurezza e deve potersi difendere; andare d’accordo con chi ha una cultura e una religione diversa dalla nostra è troppo difficile.
Sfugge però un particolare importante sulle parole e sui gesti del papa: lui è il capo della chiesa, il testimone più alto della vita cristiana, e come Cristo anche lui può dire: «Quello che ho fatto io dovete farlo anche voi». Altre alternative non ci sono, a meno di non chiamarsi fuori dalla comunità cristiana.
Sul gesto della lavanda dei piedi ai profughi è già stato detto molto.
È stato detto che questa scelta, nell’anno della misericordia, ricorda che gli ultimi devono essere messi al primo posto. È stato detto che le religioni devono unire e far superare le paure. È stato detto che quei piedi (sporchi di fango, come le immagini della tendopoli di profughi al confine tra Grecia e Turchia ci hanno mostrato), vanno considerati come un problema nostro, non solo loro.
Quel che non è stato detto è che quei piedi, che hanno fatto tanta strada da un paese all’altro, richiamano il senso cristiano della vita, e in generale il senso della vita come “passaggio” da questo mondo all’altro.
Va in tal senso ricordata la famosa Lettera a Diogneto, datata al primo secolo dopo Cristo, in cui si dice che i cristiani «abitano ciascuno la propria patria, ma come stranieri residenti». E va recuperato il significato delle parole “parrocchia” e “parrocchiano”, che il termine greco pároikoi indica come un gruppo di persone che qui sono straniere perché sanno che la patria vera è quella del cielo, verso la quale tutta la comunità cristiana è in cammino.
È nell’evento decisivo della croce e della resurrezione del Signore, che i cristiani sono condotti a considerare questa vita come un cammino, come un passaggio.
E a considerare che questo passaggio deve essere riempito di gesti di fraternità, amore e solidarietà, perché «Cristo ha abbattuto ogni muro di separazione», come dice san Paolo. Cristo stesso ormai oppone la comunione alla lontananza, l’accoglienza all’emarginazione, la familiarità all’estraniamento, la vicinanza all’esclusione. Così i cristiani sono chiamati a vivere una particolare accoglienza reciproca, che va al di là della semplice ospitalità.
Il gesto del papa che lava i piedi ai profughi allora è veramente dirompente e segna un punto di non ritorno.